Anatomia dell'Horror: tra nichilismo, orrore cosmico e ansie sociali - ilRecensore.it
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Anatomia dell’Horror: da Lovecraft a M. Atwood, un viaggio tra nichilismo, orrore cosmico e ansie sociali

Anatomia dell’Horror: la narrativa dell’orrore cosmico dove il soprannaturale non è fuga ma rivelazione.

La narrazione dell’orrore, il fascino dello spavento alberga in noi dalla più tenera infanzia. Al pianto del bambino al Bù improvviso del genitore si sostituisce immediatamente la risata felice nella constatazione del fatto che il male non è, o meglio, non è ancora.

Torna in mente un quadro di Buzzati, da Poema a fumetti:

Ancora un bacio, forse c’è il tempo.

La paura è ciò che ci attende quando il tempo dei baci finisce e la sua narrazione è ciò che anticipa ma non è ancora, permettendoci la risata infantile di chi vede rimandato l’inevitabile. Per questo ci accompagna fin da bambini quando, una torcia sotto al viso, ci trovavamo con gli amici a raccontarci Storie di paura.

"Alla fine, tutto ciò che ami ti sarà portato via", scrive Stephen King. Finché il terrore lo raccontiamo, non è ancora quello, il momento.

Tra le varietà del piacere che la narrazione del terrore comporta, un fascino particolare attiene al cosiddetto Orrore Cosmico e non passa anno che le opere di H.P. Lovecraft non ispirino film, serie o giochi, per non parlare della platea di autori che ai suoi racconti e alla sua mitologia si sono ispirati.

Ma cos’è, esattamente, l’orrore cosmico, quali sono gli autori che al solitario di Providence si sono ispirati o che, in qualche modo, ne hanno anticipato i temi e quale nesso hanno le divinità antiche degli oceani o degli spazi siderali con la modernità?

Anatomia dell'Horror - Houellebecq - H.P.Lovecraft - ilRecensore.it

Alle opere e, inevitabilmente, alla figura di Lovecraft, ha dedicato un’opera provocatoria Michelle Houellebecq che in H. P. Lovecraft: contro il mondo, contro la vita, recentemente ripubblicato da Wudz con una prefazione di Stephen King, compie una ibridazione dando alle stampe qualcosa che sta a metà strada tra la biografia appassionata, la critica letteraria e il manifesto personale che riprende e amplifica il nichilismo Lovecraftiano.

La vita è dolorosa e deludente. Non c'è quindi bisogno di scrivere altri romanzi realisti

Houellebecq apre il suo saggio con una citazione di Lovecraft che segna il tono dell’opera.

L’umanità, sostiene, ispira al massimo una lieve curiosità accompagnata da un leggero senso di nausea. In questo contesto, la narrativa Lovecraftiana viene celebrata come antidoto sovrano contro tutte le forme di realismo, poiché la realtà quotidiana è già abbastanza orribile da non meritare ulteriore rappresentazione letteraria.

Houellebecq identifica in Lovecraft un materialismo assoluto e un pessimismo cosmico che superano qualsiasi illusione consolatoria. L’universo è semplicemente un’accidentale combinazione di particelle elementari, una figura di transizione verso il caos destinata a essere inghiottita dal nulla.

Non esistono speranza, redenzione o significato trascendente: La razza umana scomparirà, è l’inevitabile chiosa dell’autore. Sostiene, Houellebecq, che ci sia qualcosa di non esattamente letterario, nell’opera di Lovecraft, descrivendola più come mitologia che come letteratura: se da una parte Cthulhu, Yog-Sothoth, Shab-Niggurath e gli altri costituiscono la cosmogonia di un universo ostile di cui l’essere umano è vittima appena superato il velo della realtà, dall’altra lo stile di Lovecraft è tutt’al più piatto e Houellebecq ne conclude provocatoriamente che se lo stile di Lovecraft è pietoso possiamo allegramente concludere che lo stile non ha, in letteratura, la minima importanza.

I suoi personaggi sono monodimensionali, intercambiabili, meri veicoli narrativi, forse perché Lovecraft era un misantropo senza alcun interesse per le persone e la loro psicologia individuale.

La narrativa, in questo modo, diventa quindi soltanto una gigantesca macchina per sognare in cui sesso, denaro, religione e ideologia sono assenti, le persone indistinguibili le une dalle altre e il Cosmo, denso di entità aliene, ostili e inaffrontabili, è reso appena sopportabile dal velo dell’ipocrisia e delle buone maniere imposte dalla società.

È difficile, con gli occhi del presente, non tentare di leggere in tutto questo il segnale di una patologia, o forse di una semplice neurodivergenza che, forse, può spiegare con il terrore dell’altro da sé il razzismo e la xenofobia dell’autore americano.

Lovecraft - il Richiamo di Cthulhu - anatomia dell'Horror - ilRecensore.it

D’altronde non si può dimenticare che il mostruoso, in Lovecraft, sia spesso ibrido, meticcio, prodotto di una unione carnale contro natura. Alieno, appunto, nella accezione anglosassone del termine. Nelle lettere del periodo trascorso a New York l’autore descrive una città con contorni mostruosi e nebulosi di una fermentazione gelatinosa degenerata, una descrizione che potremmo ritrovare tal quale in uno dei suoi numerosi racconti. È forse da questa radice maledetta che Lovecraft trae la luce orribile e cataclismica che illumina le sue opere finali.

Solitario, razzista, nichilista, misantropo, fieramente ateo, Lovecraft si considera per tutta la vita uno sconfitto, incapace di instaurare un contatto autentico con gli altri, convinto dall’incontro con le opere di Schopenhauer che l’universo sia espressione di una volontà cieca e irrazionale e la vita un deserto di sofferenza inevitabile. Houellebecq ne traccia un ritratto commovente, quello di un uomo incapace di vivere, gentile con gli amici e gli ammiratori, premuroso, scioccamente umile e autosabotante e, forse, egli stesso la più aliena delle sue creature.

Se Houellebecq affida a Lovecraft il ruolo di maschera attraverso cui urlare il proprio rifiuto del mondo contemporaneo fondato su principio di realtà, principio di piacere, competitività, sfida costante, sesso e investimenti di capitale, tutti valori del capitalismo che producono solo insoddisfazione, frustrazione e angoscia, la visione nichilista di Lovecraft è ampiamente condivisa da altri autori che in alcuni casi ne anticipano il percorso.

È il caso di Arthur Machen che nel suo racconto Il popolo bianco afferma che il male autentico è una rosa che si mette a cantare.

"Quali sarebbero i tuoi sentimenti se il tuo gatto o il tuo cane cominciasse a parlarti e a discutere con te con accenti umani? Saresti sopraffatto dall'orrore. Ne sono sicuro. E se le rose nel tuo giardino cantassero una strana canzone, impazziresti. E supponi che le pietre sulla strada cominciassero a gonfiarsi e crescere davanti ai tuoi occhi, e se il ciottolo che avevi notato la notte avesse fatto sbocciare fiori di pietra al mattino?"
Arthur Machen - il popolo bianco - ilRecensore.it

Per Machen il male non consiste nelle ordinarie trasgressioni morali o sociali, che sono semplicemente violazioni delle regole che tengono insieme la società. Il vero male è qualcosa di molto più profondo e inquietante: è la violazione dei confini naturali dell’essere, la corruzione della realtà stessa.

Quello di Machen è un orrore metafisico: la terrificante consapevolezza che le leggi naturali su cui facciamo affidamento per dare senso alla realtà sono state sospese, esponendoci alle forze del caos.

Appassionato del folklore celtico, Machen seguiva le teorie dell’antropologo scozzese David MacRitchie secondo cui le leggende su fate e gnomi deriverebbero da memorie folkloriche di un passato preistorico ma, nei suoi racconti, queste creature non sono le fate incantevoli della letteratura vittoriana ma entità primitive e terrificanti. Superfluo sottolineare quanto la sua visione possa aver ispirato autori come Neil Gaiman.

«Divenni convinto che gran parte del folklore mondiale non sia altro che un resoconto esagerato di eventi realmente accaduti, e fui particolarmente attratto a considerare le storie delle fate, il buon popolo delle razze celtiche. Proprio come i nostri remoti antenati chiamavano gli esseri temuti 'belli' e 'buoni' precisamente perché li temevano, così li avevano vestiti in forme affascinanti, sapendo che la verità era esattamente l'opposto»

Dopo un deludente avvicinamento all’esoterismo della Golden Dawn, che ha ispirato a suo tempo il controverso Il mattino dei maghi di Louis Pauwels e Jacques Bergier, e in aperto contrasto col razionalismo illuminista, Machen si avvicina al cristianesimo nei suoi aspetti più esoterici e la sua opera rappresenta uno straordinario tentativo di riconciliare fede cristiana e terrore cosmico, misticismo e orrore.

Per Machen il mondo moderno, industriale e scientista, ha perso il contatto con gli aspetti più intimi dell’esistenza che implica una componente magico/spirituale imprescindibile.

Anche per lui la la realtà quotidiana costituisce un velo oltre la cui superficie vibra un universo spirituale complesso ma, se il cosmo di Lovecraft è alieno e indifferente, quello di Machen è moralmente carico, spiritualmente potente e capace di elevare o dannare l’uomo che ne viola i confini a seconda che lo faccia seguendone le regole o che, al contrario, prenda d’assalto il paradiso attraverso mezzi proibiti, cosa che per lui rappresenta il peccato più autentico.

Ne Il grande dio Pan, ad esempio, l’esperimento del dottor Raymond rappresenta un atto di hybris scientifica che, squarciato il velo della realtà governata dal Dio cristiano, si scontra con l’esistenza di forze ctonie più antiche e terribili.

Come lui stesso scrive nel saggio critico Hieroglyphics, la vera letteratura, e Werner Herzog aggiungerebbe probabilmente il vero cinema, deve comunicare l’esperienza dell’estasi – uno stato associato alla percezione del regno spirituale che giace oltre la realtà quotidiana e i suoi personaggi sono spesso individui sensibili che attraversano esperienze di straniamento, arrivando a vivere l’esperienza del numinoso, termine che il teologo Rudolf Otto usa per descrivere l’esperienza del divino come mistero che attrae e terrorizza.

Se per Machen ragione e scienza rappresentano una deriva che rischia di squarciare il velo della realtà, Fritz Lieber compie un passo ulteriore e arriva a immaginare che sia proprio il mondo moderno con le sue nuove forze a generare entità spirituali liminali e ostili.

Anatomia dell'Horror Fritz Leiber - La cosa marrone chiaro - ilRecensore.it

Ne La cosa marrone chiaro, romanzo breve che costituisce la prima stesura di quello che sarebbe poi diventato Nostra signora delle tenebre, il suo romanzo più amato, uno scrittore si trova ad affrontare entità paramentali, creature generate dagli umori malsani delle megalopoli moderne. Amato da scrittori come Stephen King e Ramsey Campbell, il racconto anticipa il concetto della megapolisomanzia, la scienza occulta fittizia che in Nostra Signora delle tenebre studia come le grandi città generino forze soprannaturali capaci di creare le entità paramentali.

Nel parabiblios Megapolisomancy: A New Science of Cities di Thibaut de Castries, Lieber teorizza che le massicce concentrazioni di pietra, cemento e metallo nelle metropoli, combinate con elettricità e altri combustibili, costituiscano un enorme serbatoio di energia organizzato dalla griglia stradale e amplificato dalle forme e altezze degli edifici.

Questa visione trasforma gli elementi banali della vita cittadina – edifici alti, linee telefoniche, cemento – in fonti di terrore ultraterreno. Le città diventano macchine magiche involontarie, i cui pattern geometrici creano configurazioni occulte.

È un’idea profondamente modernista: la tecnologia e l’urbanizzazione non hanno sconfitto il soprannaturale, ma ne hanno creato nuove forme. È significativo che Nostra signora delle tenebre, l’entità paramentale che perseguita il protagonista, sia fatta di carta sminuzzata, dando ulteriormente corpo alla minaccia che la conoscenza pone alla sanità mentale.

Il tema della conoscenza proibita come soglia verso la follia deriva forse da Ambrose Bierce i cui racconti Can such things be? e specialmente Un abitante di Carcosa hanno generato echi che ancora non cessano di riverberare, ispirando dapprima Chambers per il suo Re in giallo e da qui Lovecraft, Karl Edward Wagner, Joseph S. Pulver, Lin Carter, James Blish, Michael Cisco, Ann K. Schwader, Robert M. Price, Galad Elflandsson, Simon Strantzas, Charles Stross, Anders Fager e S. M. Stirling, John Scott Tynes, Paul Edwin Zimmer, Robert Shea e Robert Anton Wilson, George R. R. Martin, Allan Williams, John Shirley, David Drake, Lawrence Watt-Evans per finire con Nic Pizzolatto che l’ha inclusa nella mitologia di True Detective.

In Un abitante di Carcosa il narratore riflette sulle parole del grande filosofo Hali mentre vaga tra le rovine della famosa città di Carcosa, chiedendosi come possa essere stata dimenticata dal mondo così come dimenticata è la dea Hastur. Infine, aggirandosi tra i resti delle tombe in un cimitero desolato, scorge su una lapide il proprio nome.

In Chambers l’opera teatrale oponima è un cognitohazard ante litteram, un testo che induce follia in chi lo legge, con una rivelazione così intollerabile da trasformare per sempre la percezione della realtà del lettore.

Chambers prende in prestito gli elementi di Bierce e li trasforma radicalmente: Carcosa diventa l’ambientazione dell’opera teatrale maledetta Il Re in Giallo mentre Hali non è più un filosofo ma diventa il “Lago di Hali”. Hastur, che per Bierce era una divinità benevola dei pastori, in Chambers diventa alternativamente un luogo o una persona, creando un’ambiguità deliberata. Se per Chambers la conoscenza proibita è capace di sradicare la nostra percezione della realtà, va detto che nel suo Il riparatore di reputazioni mette in mostra una inquietante prescienza sul decadimento spirituale contemporaneo.

Lovecraft, profondamente influenzato sia da Chambers che da Bierce (che conosce attraverso Chambers), incorpora questi elementi nella sua mitologia, arrivando a citare esplicitamente Hastur, il “Lago di Hali” e il Segno Giallo in Colui che sussurrava nelle tenebre. Lovecraft riconosce esplicitamente che Chambers derivò l’idea de Il Re in Giallo dalle voci sul Necronomicon.

la cospirazione contro la razza umana - Ligotti - ilRecensore.it

Thomas Ligotti introduce nel filone del Cosmic Horror un elemento nuovo nel suo saggio La cospirazione contro la razza umana.

Influenzato dal filosofo norvegese Peter Wessel Zapffe e dal suo saggio L’ultimo Messia, argomenta che la coscienza umana sia un errore evolutivo, una maledizione biologica che ci condanna a essere consapevoli della nostra insignificanza cosmica. L’esistenza umana è definita da Ligotti come Malignamente inutile, formula che cattura perfettamente l’essenza del pessimismo cosmico: non solo la vita è priva di significato, ma la coscienza che ci permette di riconoscere questo fatto è essa stessa una forma di tortura.

Questa visione collega direttamente Ligotti a Machen (il sacro come terrore), Lovecraft (l’insignificanza cosmica), Chambers (la conoscenza che distrugge) e Leiber (l’orrore della modernità). Ma Ligotti radicalizza il discorso: mentre Lovecraft immaginava entità cosmiche indifferenti, Ligotti sostiene che noi stessi siamo gli orrori cosmici, marionette che si illudono di aver tagliato i fili.

Philip K. Dick porta la tradizione della conoscenza che distrugge in un territorio ancora più vertiginoso: la dissoluzione della realtà stessa.

Mentre Chambers presenta un libro maledetto che induce follia, Dick suggerisce che l’intera realtà potrebbe essere una simulazione, un inganno, una prigione. In VALIS, Dick teorizza la “Black Iron Prison” in cui l’Impero Romano, che non è mai finito, si è semplicemente trasformato negli stati di sorveglianza moderni. La coscienza umana è intrappolata in una continuità contraffatta, una simulazione teologica che si spaccia per realtà.

La visione di Dick è profondamente gnostica: il mondo materiale è la creazione di un Demiurgo malvagio, e la salvezza (che conduce a una consapevolezza altra e “folle”) può venire solo da una gnosi, una conoscenza segreta trasmessa da VALIS: Il divino diviene codice che trapela attraverso le crepe della simulazione, tema che affronta anche in Blade Runner (Do the androids dream of electric sheep?) in cui gli androidi possiedono ricordi di infanzie che non hanno mai vissuto, credendo sinceramente di essere umani.

Dick introduce un elemento cruciale: la paranoia come epistemologia: la “follia” diventa il modo appropriato di abitare un universo dove l’identità è fluida, la realtà è manipolabile e le corporazioni/governi riscrivono costantemente la storia.

Questa visione collega Dick direttamente al Mine-Haha di Wedekind e alle distopie di Atwood: in tutti questi autori, la realtà è rivelata come costruzione istituzionale, un sistema di controllo che opera principalmente attraverso la manipolazione della percezione e della memoria.

Mine ha-ha - ilRecensore.it

Mine-Haha ovvero Dell’educazione fisica delle fanciulle di Frank Wedekind introduce nella nostra costellazione il tema della manipolazione istituzionale dei corpi e delle coscienze attraverso l’educazione. Il racconto presenta un parco chiuso da alte mura dove bambine vengono educate esclusivamente attraverso esercizi fisici – ginnastica, danza, musica – senza alcuna educazione mentale. Le ragazze vengono preparate per esibirsi in “pantomime” di natura adulta che non comprendono, in un teatro che segna il confine tra il parco e il mondo esterno. La loro funzione è essere guardate, esistere unicamente come oggetti estetici.

Mine-Haha, del 1903,anticipa temi centrali in Atwood: il controllo totalitario esercitato attraverso il corpo femminile, la riduzione delle donne a funzioni biologiche/estetiche, l’autosorveglianza come forma più efficiente di potere.

Ma mentre Atwood è esplicitamente politica, Wedekind mantiene un’ambiguità vertiginosa che rende il testo ancora più inquietante. Il collegamento con Dick è altrettanto evidente: le bambine di Mine-Haha, isolate dal mondo esterno e sottoposte a un regime educativo che sopprime il pensiero critico, vivono in una realtà simulata tanto quanto Jason Taverner in Scorrete lacrime, disse il poliziotto. La differenza è che mentre i personaggi di Dick scoprono improvvisamente la falsità del loro mondo, le ragazze di Wedekind non hanno mai conosciuto altro.

Margaret Atwood porta la tradizione distopica nel territorio del controllo biopolitico totale – il potere che si esercita non solo sulla società ma direttamente sui corpi, sulla riproduzione, sulla vita biologica stessa.

Nel suo Il racconto dell’ancella, Margaret Atwood presenta la Repubblica di Gilead, regime teocratico totalitario dove le donne fertili sono ridotte a Ancelle: uteri ambulanti assegnati a Comandanti per produrre figli. Pochi giorni fa un membro del governo americano ha parlato in televisione, più volte, delle donne incinte come Host-Bodies, corpi ospiti, e mai la distanza tra distopia e realtà mi è sembrata tanto sottile.

La Cerimonia, uno stupro ritualizzato basato su interpretazioni letterali dell’Antico Testamento, è descritta dalla narratrice Offred (Difred nella efficace traduzione italiana) con agghiacciante precisione: “Non dico fare l’amore, perché non è quello che sta facendo. Nemmeno copulare sarebbe accurato perché implicherebbe due persone e solo una è coinvolta. Nemmeno stupro la copre…”. È violazione ontologica, riduzione dell’essere umano a pura funzione biologica.

Sia nel Racconto dell’Ancella sia nel Mine-Haha sono le istituzioni a esercitare un controllo totale sul corpo femminile, riducendolo a strumento per scopi esterni: riproduttivo in un caso, estetico nell’altro.

Insomma che sia nichilista, estatico, paranoide o istituzionale, l’orrore cosmico è qui per restare, inducendosi a riflettere un po’ più a fondo su noi stessi e sul mondo che ci circonda, almeno fino al momento di spengere la torcia e andare a cena.

Autore

  • Giovanni

    Scrittore, fotografo, Service Manager in una delle principali Software House italiane, è stato cofondatore del Blog Thrillerlife ed è socio fondatore della associazione culturale IlRecensore.it e della omonima rivista online.

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