La governante
SINOSSI
Vista da fuori, la sua vita non mostra nessuna sbavatura, solo la precisione tipica di ciò che viene deciso a tavolino. Una donna che ha avuto tutto: una posizione professionale invidiabile, un marito, due figli, una bella casa. Ha avuto tutto ciò che per molti dovrebbe dare la felicità. Per il suo sessantesimo compleanno, decide di farsi un regalo: seguire un desiderio nascosto, lasciare ciò che ha per andare altrove. Un pezzo alla volta, la donna apre a chi legge il suo cuore, come l’armadio in cui custodisce la sua collezione di porcellane. Riprendono così aria pezzi di un’esistenza di cui nessuno ha mai avuto conoscenza.
Una confessione in bilico tra il desiderio di essere e la necessità di apparire. Una donna che ha coperto con la forza di volontà le sue fragilità, che ha dovuto lottare contro la cosa più grande che la vita potesse metterle davanti: se stessa. La famiglia, il giudizio degli altri, la paura di essere inadeguata sono stati punti fermi ai quali aggrapparsi, ma anche da cui scivolare. Sino al giorno in cui capisce che accettare di essere come sei, anche quando non corrisponde all’idea che gli altri hanno di te, alle aspettative che nutrono, è l’unico modo per iniziare a vivere davvero.
RECENSIONE
Un salotto di luoghi comuni
L’autrice in un’intervista a Linkiesta.
“…Volevo sottolineare quanto ancora oggi la posizione femminile possa essere invisibile, identificata come ‘moglie di’ o ‘madre di’”.
La governante sembra voler essere un’immersione nel contesto femminile dell’alta borghesia italiana, con chiara retrospettiva, seppur accennata tra le righe, agli anni ’60, il riflesso di un’epoca in cui le scuole femminili modellavano le donne per essere “buone mogli”.
Il romanzo di Csaba Dalla Zorza, lungi dal presentare una profonda esplorazione del tema delle rinunce, sembra piuttosto dipingere il ritratto di una donna afflitta più da una profonda crisi esistenziale che da autentici sacrifici. L’idea di “rinuncia”, a vari livelli, appare qui altisonante e, a una lettura più attenta, svanisce per lasciare spazio a una serie di scelte, spesso banali o perfino derivate, che definiscono l’esistenza della protagonista.
La narrazione, affidata al figlio della protagonista, ci introduce una figura femminile quasi mitizzata: una “superdonna” che incarna alla perfezione i ruoli di madre, donna in carriera e moglie. Questa descrizione iperbolica, tuttavia, urta con l’assenza costante del suo nome.
Vediamone i dettagli.
Il saper raccontare una storia, descrivere un’emozione è un dono. Il saper raccontare una storia, il descrivere con efficacia un’emozione, il permettere al lettore di “vedere” ciò che l’autore vede, è un dono non comune. È un’arte affascinante, ma anche molto selettiva.
La governante è un libro certamente ben scritto dal punto di vista formale. Tuttavia, la trama mi è apparsa come un mash-up di luoghi comuni, spesso sentiti e non sufficientemente rielaborati o personalizzati.
La storia di una donna, ovviamente ricca e famosa, ossessionata dal tradimento del marito e con una spiccata tendenza al controllo e alla perfezione, sebbene potenzialmente interessante, è risultata, a mio avviso, NON INCISIVA nella sua esecuzione. La perfezione è un peso spesso incomprensibile e distante dalla realtà di molti.
Procedendo nella lettura c’è anche da chiedersi quanto del vissuto personale si rifletta in queste pagine. Si evidenzia, infatti, una costante e superflua presenza di lezioni di bon ton. Dettagli su come usare le posate, come fare la valigia o addirittura quale valigia scegliere, mi sono sembrati particolari del tutto ininfluenti ai fini dello sviluppo della trama, se non per celebrare uno status.
“la tavola da noi è come un palcoscenico la cui coreografia viene provata con cura. Non c’è spazio per quel caos familiare che si vede nella pubblicità del pollo. I piatti seguono il menu, il contorno arriva su grandi vassoi, il pane va sul piattino e non si vede in tavola prima che arrivi il secondo.”
“È stata lei a insegnarci a viaggiare. Già quando avevamo cinque anni o poco più, con il suo modo intransigente di vedere le cose. La valigia con le ruote solo in treno e in aereo. Quella morbida, con le iniziali ricamate sul davanti, per un weekend in macchina”
La mia perplessità ha inizio già dalla copertina del volume, una donna di spalle, che appare come una soluzione comune, un déjà-vu che richiama alla mente le figure femminili di pittori (come Vilhelm Hammershøi) che, pur immortalando le loro muse, ne occultavano il volto. Mi chiedo se l’intento fosse quello di creare un archetipo, o piuttosto si sia incappati in una scelta iconografica poco originale.
La protagonista, che a tratti risulta persino antipatica, tenta di essere identificata attraverso un dettaglio apparentemente distintivo: il rossetto lampone.
Un tratto, potremmo dire, un tocco personale che dovrebbe renderla riconoscibile. È davvero servito? Tale scelta, unita alla voluta assenza di un nome proprio, o di una specificità che vada oltre gli stereotipi della donna ricca, famosa e ossessionata dal controllo o di un rossetto, contribuisce a delineare una figura che fatica a uscire dalle nebbie della generalizzazione.
La letteratura è costellata di donne che hanno scritto di donne, con esiti variabili. Pensiamo, ad esempio, ad autrici come F. Maccani o C. Dunne, solo per citarne due fra tante. Catherine Dunne, nello specifico, ha saputo tessere narrazioni intime e potenti. Ha esplorato le vite di donne comuni: donne povere, donne sole, donne in carriera, ma soprattutto ha saputo svelarne l’anima. Le sue protagoniste, pur nelle loro imperfezioni e nei loro contesti spesso difficili, rivelano una ricchezza emotiva e una profondità psicologica che le rendono autentiche e straordinarie.
Leggendo la descrizione di questa donna mi chiedo cosa si intenda enfatizzare. Nonostante il potenziale della figura femminile, la figura di Adele (il suo nome) sembra ruotare principalmente attorno a due pilastri: il controllo e il rancore. Questi tratti, seppur umani, sono prevalenti, tanto da non lasciare spazio a una più ampia gamma di emozioni. Viene da chiedersi se, nel tentativo di creare una figura perfetta non si sia persa l’opportunità di esplorare un grande mondo emotivo che non sia il risentimento e il rimpianto. La protagonista rischia di apparire più come un costrutto funzionale a una tesi, che come un’entità viva.
Il matrimonio di Adele, con relativi tradimenti (non useremo la parola corna per non imprimere volgarità al contesto) è un continuo ripetersi con una particolare connotazione, non un’unione sentimentale o una condivisione profonda, bensì come un requisito esistenziale per la protagonista. La frase “la sua condizione necessaria per essere” è lapidaria e rivela una visione del legame coniugale squisitamente strumentale.
“.. il fatto di portare la fede al dito fosse una cosa di cui aveva bisogno per definire una sorta di status nella sua testa. Non è che avesse bisogno di dividere la sua vita con lui. Aveva bisogno di essere sposata”
Questa prospettiva, sebbene cruda, è sorprendentemente realistica per certi contesti e periodi storici (e non solo). Se l’obiettivo primario è l’ottenimento di uno status, ne consegue logicamente una riduzione delle aspettative sul partner, bisogna accontentarsi del marito che uno si merita; non è una rassegnazione passiva, ma la lucida accettazione di una conseguenza inevitabile quando l’amore o la compatibilità emotiva sono secondari rispetto al fine ultimo.
I FIGLI di Adele non potevano non essere elementi essenziali di un quadro, pedine impeccabili di una “tavola ben apparecchiata”, “all’inglese“. Sono descritti con un lessico che privilegia la conformità e l’efficienza sociale: bene educati, istruiti, buona posizione sociale e lavorativa. Persino i pochi e insignificanti colpi di testa giovanili vengono ingigantiti per esaltarne la riuscita sociale. Questa è la perfezione, il risultato che Adele ha costruito meticolosamente, come il posizionamento dei Tumbler.
“Quando sono entrato all’università ero in grado di fare un numero di cose decisamente superiore rispetto ai miei compagni di corso. E non parlo solo della maionese fatta a mano o di una pasta alla carbonara. Sapevo anche abbinare un abito a un cappotto, prenotare un volo o un albergo, scegliere il biglietto giusto per mandare un mazzo di fiori”
In questo specifico caso mi verrebbe da osservare che alcuni cervelli, purtroppo, non hanno lasciato il paese. Sinceramente avrei omesso questo paragrafo!!!
Addentrandomi nella lettura, mi sono interrogata sul messaggio che il libro intenda trasmettere. Sembra suggerire che “anche le donne ricche e potenti piangono“, un’affermazione sicuramente valida in assoluto, ma che nel caso di Adele appare quasi un tentativo di umanizzare una figura la cui “potenza” viene sopravvalutata. Il personaggio di Adele, infatti, non riesce a liberarsi dal confronto con figure iconiche, finendo per apparire come una copia meno riuscita della più famosa Anna Wintour o dell’iconica Miranda Priestly de Il diavolo veste Prada. Donne convenzionali ma che sono riuscite a imporsi nell’immaginario collettivo con una tale forza che a Adele sembrano mancare.
Oppure, il messaggio intende ribadire luoghi comuni narrativi molto sfruttati?
“la governante che gli ha mandato avanti la famiglia, la vita, mentre lui poteva occuparsi solo di se stesso, della sua carriera. Ho fatto il lavoro di back office. I figli, le tate i genitori anziani, la gestione finanziaria”
“Però non ci impegniamo per riorganizzare la società concretamente, tenendo conto delle attuali necessità della vita femminile. Non aiutiamo chi deve partorire figli, allattarli accudirli, stare a casa con loro quando stanno male. Si parla di calo delle nascite come di un problema. Ma cosa si fa davvero per le donne che sono madri? Noi siamo in difficoltà, dobbiamo mandare avanti la casa, la famiglia, i figli, accudire gli anziani. E in più portare a casa uno stipendio concreto, perché una famiglia con un reddito solo oggi non ce la fa.”
Se questo è l’intento, la narrazione non aggiunge nulla di nuovo a un dibattito già ampiamente esplorato, e lo fa attraverso un personaggio che, per la sua posizione sociale ed economica, difficilmente può rappresentare la complessità di questa battaglia quotidiana
È notorio che la vita è un compromesso per tutti, ma nel caso di donne come Adele, le dinamiche di questo compromesso sono SICURAMENTE diverse, dato che godono della possibilità di avvalersi di baby-sitter e domestiche, sollevandole da molte delle fatiche che affliggono la maggior parte delle donne che affrontano quotidianamente queste sfide. Questo divario di contesto rende il messaggio, a mio avviso, poco autentico.
Un altro tema introdotto in sordina, che titolerei la “bella famiglia”, merita attenzione. La famiglia creata da Adele è una open-mind family, dove l’omosessualità è OVVIAMENTE ACCETTATA, perché deve essere così. Questa rappresentazione appare più come un’ostentazione di modernità e tolleranza, tipica di una famiglia snob che fa dell’apertura mentale un vessillo, piuttosto che un’aggiunta narrativa ai temi non approfonditi.
Tutto ciò, e non mi dilungo oltre, non eleva Adele a icona di forza, ma la confina in un ruolo che è profondamente limitato. L’autrice ha esempi illustri a cui guardare, figure femminili che hanno compreso e accettato i compromessi della vita. Donne che sanno che non sempre “dietro un grande uomo c’è una grande donna”, ma piuttosto che “dietro una grande donna c’è un uomo che generalmente siede in disparte”, spesso per scelta, per permettere alla luce di brillare altrove e a lui di sopravvivere.
Adele, la donna che si voleva evidenziare e connotare, non potrà mai assurgere al ruolo di icona di stile assoluto. Un esempio? L’iconica Jackie. Jackie ha avuto grandi uomini accanto, e ha saputo essere a volte un passo indietro, a volte due passi avanti a loro, con personalità e una consapevolezza che trascendevano la semplice ricerca di uno status. Ma “non tutti sono lei”. E in questo risiede forse la maggiore debolezza di questo personaggio: nel tentativo di creare una donna potente, con tutte le tematiche relative, si è finito per appiattirla in una maschera, privandola di quella complessità che rende grandi le figure femminili della letteratura e della storia.
CONCLUSIONI
Queste sono le mie osservazioni, il mio punto di vista, sul delicato tema l’arte della narrazione. Il saper raccontare, nel suo senso più autentico, credo sia un’altra cosa.
Le citazioni, in questo caso per meglio commentare il racconto, sono imprescindibili.
Mi riferisco a frasi che, purtroppo, hanno il sapore di un’ostentazione di uno stile di vita o di pensiero, piuttosto che contribuire alla profondità dei personaggi o della trama. Il testo è disseminato di perle di saggezza o descrizioni che, anziché arricchire, rivelano un’autocelebrazione dello status e della visione del mondo della protagonista.
Mi chiedo se questo intento di mostrare una famiglia e , soprattutto, una donna “perfetta” e “illuminata” sia realmente servito a creare personaggi credibili o se non abbia piuttosto rinforzato un senso di artificialità.
Il titolo scelto, La Governante, è rivelatorio. Ovviamente la protagonista è stata volutamente connotata come tale. Tuttavia, Adele è una figura che, pur nel suo presunto potere e nella sua vita agiata, è in realtà “governata” da dinamiche esterne e interne. Il sacrificio, la rinuncia in nome della famiglia dovrebbe emergere come un tema centrale, ma il suo è un sacrificio che non nasce da un’abnegazione autentica, quanto piuttosto dalla strenua difesa di uno status.
Un’ultima cosa. La citazione “Quel che resta del giorno”, no, non mi è sfuggita. Un grande romanzo di K. Ishiguro (1989 Einaudi; trasposizione cinematografica con A. Hopkins – E. Thompson). Intenti simili? (qui uso io una citazione, seppur parziale ma funzionale). Difficile.
Ricordatevi…
“… quando siete seduti sul divano, si prendono dal tavolo basso la tazza da thé e il piattino, con la mano sinistra, mentre con la destra si beve. Ma se siete seduti a una tavola, il piattino resta lì, prendete solo la tazza.”
TITOLO: LA GOVERNANTE
AUTORE: Csaba dalla Zorza
EDITORE: Marsilio
GENERE: narrativa femminile
AUTRICE

Csaba dalla Zorza è l’autrice italiana che ha fatto della buona tavola e delle buone maniere uno stile che oggi è fonte di ispirazione per moltissime persone. Amata dal suo pubblico, che la segue quotidianamente sia in televisione che sulle piattaforme digitali, è considerata una vera autorità nell’ambito del savoir vivre contemporaneo.
Nella sua carriera ha pubblicato 23 libri di cucina e lifestyle, da molti dei quali sono state tratte serie TV omonime per Food Network. Dal 2018 conduce il programma cult Cortesie per gli Ospiti su Real Time e dal 2025 è direttore della testata foster magazine. “La governante” è il suo primo romanzo.