Goodbye Hotel di Michael Bible - Abbiamo letto - ilRecensore.it
Goodbye Hotel di Michael Bible - Abbiamo letto - ilRecensore.it

Goodbye Hotel di Michael Bible

Goodbye Hotel

C’è un posto, a New York, che chiamano Goodbye Hotel, perché è l’ultimo rifugio di chi, per ragioni diverse, si è allontanato dal mondo e nel mondo non vuole (o non può) più tornare. Lì, mentre una nevicata «ipnotica» cade sulla città, François siede davanti al fuoco, stappa una bottiglia di vino da quattro soldi e inizia a scrivere la sua storia.

Vuole metterci a parte di un avvenimento capitato venticinque anni prima, ma soprattutto raccontarci quello che sarebbe potuto succedere e – forse – è successo davvero. 

Ha a disposizione solo «un pezzetto di verità», che certo non basta a colmare tutti i vuoti. La sua voce, carica di un’antica sofferenza, ci trasporta ancora una volta a Harmony, un’anonima cittadina del Sud degli Stati Uniti, dove ogni sera «si confonde con un milione di altre sere» e i giovani sono «destinati a perdersi» ma non smettono di desiderare «l’impossibile».

Dove «non c’è differenza fra chi è amato e chi non lo è», perché «tutti si sentono soli, con addosso la maledizione di un vuoto americano che gli cresce dentro».

Eppure, come sanno i lettori di L’ultima cosa bella sulla faccia della terra, Harmony è anche un crocevia dove il destino dà appuntamento alle sue vittime ignare: in questo caso due ragazzi innamorati e un misterioso uomo con un completo di seersucker, che in una notte di fine estate si incontrano sotto lo sguardo benevolo e saggio di Lazarus, una tartaruga dai poteri chiaroveggenti, indimenticabile protagonista del romanzo. 

Perché nell’universo di Michael Bible il passato può facilmente diventare futuro e viceversa; come in un sogno di David Lynch, a una dimensione della realtà ne corrispondono infinite altre, parallele e comunicanti. Non ci resta quindi che abbandonarci al ruolo di testimoni involontari e accettare che la verità a volte risulti inaccessibile, protetta da un guscio di bugie e inganni simile a quello di una testuggine centenaria.

È tornato Michael Bible. E questo potrebbe bastare. Ma per chi ancora non lo avesse letto, si sappia che in giro c’è questo scrittore americano, Michael Bible, che dopo aver squarciato il petto dei lettori e delle lettrici con L’ultima cosa bella sulla faccia della terra e averli lasciati lì, col cuore a prendere aria; ebbene, si sappia che è recentemente uscito il suo nuovo libro Goodbye Hotel, edito Adelphi, tradotto ancora una volta da Martina Testa.

Michael Bible è un autore che ti fa capire subito con-chi-avrai-a-che-fare. Già dall’incipit (e tra poco sarà reso noto) si viene pian piano accompagnati in una dimensione che ha contorni onirici. Salvo qualche detonazione (che può portare a calcare la mano nel tentativo — non garantito — di rendere la frase più assimilabile), i suoi romanzi sembrano proprio muoversi all’interno di un sogno: lo spazio, il tempo, gli eventi, sono collegati in rapida successione e i personaggi come appaiono scompaiono.

Non i protagonisti veri e propri, loro no. Loro accompagnano per tutto il tempo e poi, all’improvviso e crescendo sempre di più, uno di questi si fa così grande da non riuscire più a dimenticarlo. Iggy in L’ultima cosa bella sulla faccia della terra e… E no, non vi sarà detto.

Lo capirete voi chi sarà veramente il personaggio immenso dentro Goodbye Hotel.  

Ma prima ancora di entrare dentro la storia, trovo sia corretto ed essenziale fare un plauso a Martina Testa e a chiunque si occupi di traduzione. Se opere come queste arrivano anche a farci piangere; se prendiamo un libro in mano perché solo il titolo ci ha fatto tremare, ebbene sì, bisogna far sapere a loro quanto per noi siano importanti nonostante rimangano nascosti o nascoste. Grazie.

Quando ho consegnato questo libro al mio amico, per prima cosa ha letto l’incipit. Ma prima di riportare l’incipit, trovo sia corretto descrivere quel momento. Non eravamo solo io e lui, ma in compagnia tra amici e conoscenti in attesa che iniziasse una serata dedita alla poesia.

Fuori dal locale, all’improvviso il silenzio e tutti gli sguardi rivolti verso lui: «Immaginate il passato. Il rombo di tuono con cui comincia ogni cosa e tutto il dolore e la poesia che ne seguono. Lo spazio si espande, acquista velocità fino a produrre un eccesso di tempo e di spazio. Tanto di quel tempo e tanto di quello spazio che tutte le cose possibili cominciano a esistere contemporaneamente. Ogni scelta, ogni possibile possibilità. Tutto il caos e tutto l’ordine. Adesso guardate la linea del tempo frammentarsi in una moltitudine di diramazioni».

E ho riportato, forse, più di quanto abbia letto lui. Perché poi è così, cominci a leggere e a perderti in un tempo e in uno spazio che non appartengono più. Lo stesso accade in Goodbye Hotel.

Ritorniamo ancora una volta a Harmony. Tempo e spazio si rompono in millanta frammenti. Tra questi frammenti ce n’è uno che appartiene a tutti gli altri, il suo nome è Lazarus.

Lazarus è una tartaruga gigante che sì e no ha due secoli, e che una volta era così piccola da stare in tasca, o dentro un pacchetto di sigarette. Lazarus ha un dono e Harmony sembra proprio il luogo giusto, in questo Universo sconfinato, dove far sì che questo dono possa manifestarsi e soprattutto essere accolto. Perché un dono è tale solo laddove viene accettato.

E il mondo è tante cose, tranne che un luogo dove questo possa accadere senza conseguenze. Che poi il mondo, per come lo vediamo noi, dal nostro “più elevato punto di vista”, è fatto di individui. Da molte specie di individui. E guarda un po’, Harmony è quel luogo nel mondo dove le persone sono scisse tra il vuoto e il desiderio, l’amore e la solitudine. Ed è il posto perfetto per uno come Lazarus che comprende senza conoscere il linguaggio verbale, che si esprime senza proferire parola.

Con la sola empatia che lo contraddistingue, Lazarus capisce chi ha davanti e di cosa ha bisogno.

I personaggi di Bible sono tutti in attesa di un qualcosa che venga a salvarli e Harmony è la realtà dove la salvezza c’è e avviene all’improvviso. Dolore e sofferenza sono «un fardello condiviso», in questa città dimenticata, e i destini dei personaggi sembrano scritti in anticipo: Françoise ed Eleonor, Walt e Sandy, Quiet e Jill, James e Kirk (e tutti gli altri che seguiranno) sono singoli destini che partono da lontanissimo per arrivare a un punto e intersecarsi.

Nella solitudine dei personaggi che incarnano quel luogo dove, più o meno grande, ogni individuo cela la propria solitudine, Lazarus è quell’entità Altra che si pone come non-io e che chiede, in quanto tale, d’essere superata col solo patto di diventarne parte. Lazarus è la risposta all’ostacolo astratto, esistenziale possiamo dire, di chiunque si trovi, a un certo punto, smarrito.

Nel suo lungo tragitto, a Lazarus sono stati attribuiti poteri chiaroveggenti:

«La gente, pensò, voleva credere che la magia fosse possibile e per questo lui le aveva dato un Dio. Si chiamava Lazarus ed era in grado di compiere i miracoli. Ovviamente non era altro che una normalissima tartaruga. Una creatura né più né meno miracolosa delle altre. Chi voleva guarire guariva. Chi voleva soldi i soldi in qualche modo li trovava. Bastava aprirsi all’idea».

Tutti i personaggi si trovano davanti a un ostacolo che loro pensano di affrontare aggirandolo e sfuggendogli. Ma questo ostacolo non è altro che il sé stessi: «A Harmony non c’era differenza fra chi era amato e chi non lo era. Tutti si sentivano soli, con addosso la maledizione di un vuoto americano che gli cresceva dentro».

Davanti a questo, Lazarus viene ogni volta rivestito di tutto quello che siamo, che vorremmo essere, ma che non abbiamo il coraggio e la fiducia di ammettere e di diventare:

«Quando andavano a trovarlo nel parco e facevano una domanda a Lazarus, gli rivelavano le loro piccole speranze per il mondo e grazie a Lazarus sentivano che quelle speranze forse un giorno si sarebbero avverate».

Effetti collaterali: rimarrete in attesa di un Little Lazarus.

Michael Bible è un autore e libraio statunitense. Nato in North Carolina, ha scritto per l’Oxford American, The Paris Review Daily, Al-Jazeera America, ESPN The Magazine, e il New York Tyrant Magazine. Tra i suoi titoli, pubblicati in Italia da Adelphi, L’ultima cosa bella sulla faccia della terra (2023), Goodbye Hotel (2025).

Autore

  • Luca de Vincentiis

    Sono Luca de Vincentiis, con la “d” minuscola (perché secondo il nonno paterno s’ha da scrivere così) e due sono le benedette “ii” alla fine del cognome. Nato a Sanremo, città dei fiori, della musica, di mare e dal meraviglioso clima, lavoro alla Ubik Sanremo libri (ex Mondadori e no, non è una Feltrinelli). Sono felicemente libraio e genitore di tre libri di poesia: “Alla ricerca degli istanti perduti”, Gruppo Albatros Il Filo, 2021; “Amore e discordia”, L’Erudita, 2022; “Fiori da ponente”, Edizioni Ensemble, 2024. Faccio parte di un collettivo di poesia che si chiama Il Vivaio del Verso e mi piacciono la fotografia, la pizza, la pasta col tonno, il vino rosso (non meno di 14 gradi) e la birra rossa. Mi piacciono anche altre cose. Sono Sagittario: ometto ma non mento.

    Visualizza tutti gli articoli

ilRecensore.it non usa IA nelle recensioni

X