Il cuore affamato delle ragazze - Maria Rosa Cutrufelli - ilRecensore.it
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Il cuore affamato delle ragazze di Maria Rosa Cutrufelli

Il cuore affamato delle ragazze

Etta è giovane e affamata di vita quando si trasferisce a New York da Philadelphia, dov’è cresciuta, per lavorare come infermiera all’ospedale di Ellis Island, l’isola degli arrivi, il lembo di terra dove approdano le speranze e i sogni di tanti. Siamo nel 1910 e solo vent’anni prima nello stesso porto sbarcava la nave su cui viaggiavano i suoi genitori, partiti insieme a migliaia di altri migranti dalla Sicilia.

Ed è in quel mondo a sé, sospeso tra lacrime ed euforia, che Etta incontra per la prima volta Tessie. Ne rimane subito colpita: cappello di paglia, cravattino, un lampo di intelligenza negli occhi scuri e un cognome italiano come il suo. Tessie è una cucitrice, ma sta dando una mano come interprete sull’isola per conto dell’Unione delle operaie a cui è iscritta.

Nonostante Etta sia cresciuta con un padre socialista, dei sindacati femminili che stanno nascendo nelle città americane non sa ancora nulla, ed è Tessie, durante gli anni della loro amicizia, a trascinarla agli incontri dell’Unione e a presentarle le sue compagne sindacaliste e suffragiste. Sono gli anni in cui le operaie delle fabbriche di Manhattan cominciano a scioperare per ottenere condizioni di lavoro migliori, scendono in strada per rivendicare tutto ciò di cui i loro corpi e i loro cuori sono affamati: il pane, ma anche le rose. Etta e Tessie sono sempre in prima fila, ed è anche frequentando quell’ambiente di donne femministe e indipendenti che trovano il coraggio di dare un nome al sentimento che provano l’una per l’altra.

L’incendio della fabbrica di camicette Triangle, in cui nel marzo del 1911 muoiono quasi centocinquanta operaie, è un detonatore potentissimo per la loro rabbia e per quella di tutte le altre lavoratrici.

Maria Rosa Cutrufelli fotografa il momento storico in cui, per la prima volta, le donne si sono unite per dar voce alla loro fame: di giustizia, di lavoro, di amore e di vita. E raccontando i cuori delle ragazze di un secolo fa, racconta in realtà la voglia di futuro delle donne di ieri e di oggi.

Il cuore affamato delle ragazze è ambientato negli anni della corsa all’America, “il paese della dimenticanza” come lo chiama il padre di Etta, medico, socialista, liberale. 

Parla di amicizia, di battaglie, di diritti. Di storie individuali intessute nella storia di un’intera collettività. Parla di sorellanza e di femminismo. Di fame “di pane e di rose”.

È il racconto delle donne immigrate che, in una terra lontana dalla loro, si ribellano a condizioni inumane di lavoro, organizzano il primo grande sciopero generale, sfilano per le strade chiedendo a gran voce la presenza del sindacato nelle fabbriche, combattono per il diritto di voto. Donne che lottano, perdono e continuano a lottare. E intanto sognano e amano.

Il cuore affamato delle ragazze ci porta sul luogo del più grande incendio industriale avvenuto a New York. E’ il 1911, il 25 marzo. È la fabbrica tessile Triangle. Negli ultimi 3 piani lavorano giovanissime operaie, hanno tra i 14 e i 20 anni, chiuse a chiave dentro i reparti cosicché non possano uscire prima della fine del turno. Muoiono in 148, 38 sono italiane.

È uno degli eventi a cui si deve la nascita della giornata internazionale della donna.

Etta, Marietta, è la protagonista. Ci accoglie a casa sua a Staten Island nel 1970, in cucina, dove la nipote della sua migliore amica Molly sta preparando la colazione. E ci saluta in veranda mentre aspetta l’arrivo di un gruppo di studenti universitari che vogliono ricostruire gli eventi 60 anni dopo, consegnando alla più piccola delle donne della sua famiglia acquisita, il suo dono più prezioso: la storia del coraggio. Quello di cui è intrisa la storia di tutta la sua vita, che si fonde con le storie di tutte le altre donne che come lei e più di lei hanno patito tribolazioni, fatiche e mortificazioni per nutrire il loro cuore affamato di libertà e di dignità.

Etta non aveva voglia di raccontare, perché “le storie non sono figlie di chi le racconta ma di chi le interpreta”. Però. Ci sono storie che non devono essere dimenticate, né ricacciate nel passato o nascoste in ritagli ingialliti di giornali. Ci sono storie che non devono essere taciute mai, anche quando non esce la voce per raccontarle. 

E così eccola a condurci agli inizi del 1900, nel tempo in cui si assisteva a flussi migratori imponenti da terre “infelicitanti” e senza speranza a paradisi supposti tali. Quello dei viaggi pietosi senza igiene, senza spazio e senza aria. Quello in cui si accettavano condizioni di vita lontane dalla dignità pur di sopravvivere. Quello in cui le forze dell’ordine caricavano a manganellate i manifestanti richiedenti diritti inalienabili. Sono gli anni delle lotte per la conquista di diritti civili, delle differenze di classe, della solidarietà, delle rivendicazioni sociali.

Era 114 anni fa. Ed è anche oggi.

Ieri mancavano le leggi. Oggi le leggi ci sono ma ci si permette l’arroganza di far finta che non esistano. Tanto la giustizia quando arriva, se arriva, è sempre troppo tardi.

Nelle pagine de Il cuore affamato delle ragazze, scritte con passione ed equilibrio narrativo, ci sono i migranti di allora. E io mi fermo.

Vorrei che lo sguardo di quelli che ancora oggi guardano sprezzanti i nostri migranti si fermasse nel mio e in quelli come il mio, che vedono questa terra un dono identico per tutti, che si offre e ci accoglie, che non ha confini se non quelli che abbiamo costruito noi.

Vorrei che ricordassero un viaggio qualunque  di 5 ore su una nave da crociera mentre vanno in vacanza su un’isola; che ricordassero come, nonostante il lusso del loro viaggio mentre sorseggiano uno spritz, i loro capelli s’impregnano di salmastro, i loro abiti si appiccicano alla pelle, il loro udito si confonde nel rumore dei motori; e al sollievo di scendere a terra, avere un posto sicuro dove andare, farsi una doccia. E poi vorrei che pensassero cosa vuol dire moltiplicare x 10, 20, 50 volte la durata del viaggio, in condizioni di fame, sete, mancanza di spazio, paura di morire e di veder morire, senza avere nemmeno l’idea di un posto sicuro. E allora gli chiederei con che diritto tacciono dinanzi alla disuguaglianza di chi muore per inseguire una speranza.

“Credi davvero che sia sufficiente salire sulla stessa nave per essere uguali? Non siamo uguali, né alla partenza né all’arrivo. Né su questa riva né sull’altra”. Dice Molly a Etta.

Ci sono le ragazze affamate di sogni, come quello di diventare padrone di sé stesse, sacrificando tutto pur di riuscire, pur di non spegnere il luccichio dei loro occhi. Le vediamo lottare, appassionate e instancabili, lavoratrici indefesse, attiviste impegnate. Le vediamo lavorare in fabbrica, sottopagate, sfruttate, a volte abusate.

E mi viene in mente la storia avvenuta a Yssingeaux in Francia che ha ispirato il testo teatrale 7 minuti di Stefano Massini, dove le donne di una fabbrica tessile si trovano a dover decidere se firmare una clausola che gli riduce la pausa di sette minuti per non essere licenziate. Vite, le loro, che sono il simbolo delle difficoltà che troviamo ancora oggi negli ambienti di lavoro, come quella di non denunciare una molestia sessuale o di non poter rifiutare una restrizione per paura di non avere più uno stipendio con cui vivere. O sopravvivere.

Le vediamo lottare per il diritto di voto. E mi viene in mente il film coraggioso della Cortellesi “C’è ancora domani”. Non sono passati nemmeno 80 anni da quando in Italia le donne hanno il diritto di voto. E mi vengono i brividi.

Le vediamo bruciare per l’incendio nella fabbrica Triangle e cadere come meteore infuocate dalle finestre. E quel volo d’orrore richiama nella mia mente quello dell’11 settembre 2001. Storie diversissime ma la causa, dietro morti insensate come queste, è simile. Ha a che fare con la separazione, tra la ragione e il torto, tra chi ha il potere e chi lo anela, tra chi ha e chi non ha.

Volgendo lo sguardo alla nostra storia, dovunque troviamo tragedie intrise di ingiustizia, causate da indifferenza e abuso, che avrebbero dovuto insegnarci qualcosa e spingerci ad essere migliori di così. 

E invece si assiste, oggi più di sempre, ad una sproporzione abissale tra le richieste, che nascono inevitabilmente da una mancanza, che sia di cibo, spazio, libertà, giustizia o uguaglianza, e l’indifferenza di chi avrebbe i mezzi economici e culturali per esaudirle e non lo fa. Si assiste a ogni sorta di classificazione e di separazione, appiccicando etichette che non sono altro che un modo per creare e sostenere confini. E i confini generano giudizio, sono divisivi, sono la scintilla di ogni guerra e di ogni ingiustizia. Mentre ciò che è giusto non divide, è equanime, non ha colore né religione. 

Tutte le chiavi utilizzate da Maria Rosa Cutrufelli in questo romanzo sono una sollecitazione profonda a voler desiderare un “altrove” dignitoso e giusto e per costruirlo è necessaria determinazione, fermezza, volontà condivisa, solidarietà. Mani nelle mani che camminano insieme. È necessario contaminarsi di bene, di attenzione all’altro, di solidarietà. 

In questo bellissimo e prezioso viaggio de Il cuore affamato delle ragazze, che la scrittrice ci ha donato, donne di fantasia sono le compagne di donne che hanno fatto pezzi di storia. E mi va di ricordarne alcune

Conservata nel museo ANU di Tel Aviv e scattata nel 1909 a New York durante lo sciopero dei camiciai – noto anche come rivolta dei 20.000 – che coinvolse principalmente le donne ebree che lavoravano nelle fabbriche. Tra loro Clara Lemlich, una delle donne simbolo dell’emancipazione femminile, forza trainante del sindacato e fondatrice di un comitato permanente di sostegno alle donne lavoratrici.

Jane Addams, nobel per la pace nel 1931, riformista in tempi di crisi sociale, pacifista in tempi di guerra, internazionalista in tempi in cui nascevano i peggiori nazionalismi che si ricordino. Detta la santa d’america ha fondato la Women International League for Peace and Freedoom. Il suo obiettivo: “vivere al livello della propria coscienza, realizzando attraverso le azioni quotidiane la propria etica spirituale”

Pauline Newman dovette lottare per la sua istruzione, da adolescente organizzò un club del libro di sinistra dopo il lavoro in fabbrica. Guidò un gruppo di donne indipendenti per organizzare uno sciopero degli affitti nelle case popolari del Lower East Side e l’anno successivo organizzò uno sciopero di 40.000 operaie tessili. L’attenzione suscitata le valse il titolo di “Giovanna d’Arco dell’East Side” dal New York Times e una candidatura del Partito Socialista alla carica di Segretario di Stato di New York, sebbene le donne non avessero ancora diritto di voto.

MARIA ROSA CUTRUFELLI: è nata a Messina, ha studiato a Bologna e oggi vive a Roma. Ha pubblicato nove romanzi, tre libri di viaggio, un libro per ragazzi e numerosi saggi. Fra i romanzi ricordiamo: La donna che visse per un sogno (finalista al premio Strega nel 2004), Complice il dubbio (da cui è stato tratto il film Le complici), Il giudice delle donne, tutti pubblicati da Frassinelli e L’isola delle madri, Mondadori, 2020. Il suo ultimo libro è Maria Giudice (Giulio Perrone, 2022; Neri Pozza, 2024). I suoi libri hanno vinto diversi premi e sono stati tradotti in una ventina di lingue.

Autore

  • Alessandra Panzini

    Entusiasta e solare, guarda il mondo sempre con gli occhi rosa. Appassionata di ogni forma d’arte che espande la bellezza oltre le mani di chi la crea, legge tutto quello che accresce il pensiero, che stimola riflessioni o che scombussola i propri limiti, si diletta nel teatro, disegna e produce gioielli artigianali. E adora la sua gatta dagli occhi blu come il mare.

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