Di spalle a questo mondo e le cose dell’anima
SINOSSI
Se è vero che ogni esistenza viene al mondo per incarnare un dramma, quello di Ferdinando Palasciano e di sua moglie Olga Pavlova Vavilova è tra i più dolenti e irriducibili: è il dramma dell’imperfezione. Fin da bambino Ferdinando ha odiato la morte al punto da fare della salvezza la sua ossessione di medico.
Ma una vocazione così grande, scontrandosi con le iniquità subite, non può che fallire e trovare casa nella follia. Olga, nella sua infanzia a Rostov, ha dovuto misurarsi proprio con l’alienazione materna, quintessenza di Storia e fragilità. Unico scampo da essa la fuga, frenata da una radice nascosta sotto la neve e dalla zoppia, che diventa destino e comunione con l’imperfetto.
Ma si può vivere a un passo dall’ideale? Ferdinando, dal buio della sua ratio opacizzata, continuerà a salvare asini e pupi; mentre Olga, pur guarita dalla scienza e dall’amore di Ferdinando, tornerà a claudicare. Voi non credete che quando ci spezziamo è per sempre? La domanda che Olga rivolge al pittore Edoardo Dalbono è sintesi di una irreparabilità e di una caduta che restano perenni.
RECENSIONE
Il colophon del romanzo di Wanda Marasco riporta le parole di Gesualdo Bufalino: «Com’è difficile stare morto tra i vivi: un astruso gioco d’infanzia è diventato, vivere, e mi tocca impararlo da grande» (Diceria dell’untore).
Un morto tra i vivi, in effetti fu Ferdinando Palasciano, alla cui vita è liberamente ispirato il romanzo Di spalle a questo mondo.
Palasciano, medico di Capua, considerato a ragione uno dei precursori della Croce Rossa, si trovò a Messina durante i moti insurrezionali del 1848 e, contrariaramente alle disposizioni dei superiori, prestò soccorso anche ai nemici. Per questo motivo fu accusato di tradimento e insubordinazione e condannato a morte, pena poi commutata in detenzione nel carcere di Reggio Calabria. Ferdinando Palasciano «nello iato fra il medico e il soldato aveva scelto l’innocenza della ferita» (p. 67).
Ma non è di questo aspetto della vita di Palasciano che Wanda Marasco si occupa, se non per guizzi e flashback, ma degli ultimi anni della sua vita, funestati dalla follia, e dell’amore totalizzante per la moglie Olga Vavilova.
Olga è una nobildonna russa, e zoppica. Proprio a causa della zoppia i due si incontrarono. Ferdinando la curò, sebbene il ditrubo riappare in momenti topici della loro vita, sintomo di una zoppia “esistenziale”, di un’insicurezza nell’incedere della vita che accomuna tutti. Olga e Ferdinando sii innamorarono perdutamente e andarono a vivere nella torre che svetta a Capodimonte (chiamata oggi Torre del Palasciano). La pazzia di Ferdinando non metterà mai in discussione il loro amore, né li renderà sordi alle sofferenze del mondo.
«Non avere paura. Verrai trattato bene, te lo giuro. Può succedere a tutti, Ferdinà. A volte ci spezziamo. È il dolore. Si annoda, si scioglie. Andiamo avanti così. Devono capire qual è la cura migliore. Durerà poco, te l’assicuro. Non possono scherzare con le cose dell’anima». Non possono scherzare con le cose dell’anima.
Proprio di “cose dell’anima” ci parla Wanda Marasco, dei turbinii misteriosi e tumultuosi che trascinano la psiche in un gorgo di dolore e in allucinazioni pulsanti.
Il racconto comincia il 2 novembre del 1887 giorno in cui, dopo l’ennesimo delirio, Olga fece internare Ferdinando. Due vite spezzate, che però non smarriscono mai né il ricordo né il desiderio di essere comunque Unità. Spezzate sono anche le due linee narrative, segnate dalla voce narrante di Olga e dalla narrazione dei deliri, dei dialoghi, dei flashback di Ferdinando.
«Poi s’era zittita, l’aveva guardato seria seria. E lui aveva capito di essere in ritardo sulle parole, sul miracolo, sullo spavento del cuore. Si toccavano in quel momento, senza toccarsi. C’era questa cosa che agonizzava e risorgeva in un istante, il salto mortale fino a lei, anche la paura di essere poco, di essere niente di fronte a quella donna. «Olga, io…» La prima volta che pronunciava il suo nome. Olga aveva risposto sì. Un sì che ammetteva e confessava. Gli amanti erano sbucati dai loro respiri. L’aveva scavata come se fosse un vuoto suo, illimitato, paradossalmente felice. Olga stretta al suo corpo, in una marea di tepori e di tremiti. La carne infinitizzata». (pp. 55/56)
La carne infinitizzata è una delle molteplici espressioni che Marasco conia per illuminare un sentimento, un’estasi. E lo fa mirabilmente.
Di spalle a questo mondo è un romanzo “spezzato” nello stile e nell’intreccio, che richiede al suo lettore concentrazione e abnegazione, per affrontare delle “montagne russe” emotive, sancite da una lingua sempre sfolgorante, barocca, talora eccessivamente espressiva ed istrionica, ma con la precisa coscienza di ciò che una lingua letteraria deve fare: creare uno spazio di pensabilità attraverso la parola.
Il tratto decisivo che accende il romanzo è lo stile, a volte barocco, sempre accurato. Il dialetto napoletano illumina i personaggi popolari e le situazioni quotidiane, mentre i dialoghi frammentari e nervosi, spesso volutamente sconclusionati, riflettono la psiche alla deriva.
Perché impazzisce Ferdinando?
Non è una domanda clinica; lui impazzisce perché «si era dato il compito di raggiungere la perfezione e forse questo era stato il vero male. Aver creduto che ogni azione giusta potesse restare nel mondo come una nota di sapienza» (p. 137). Come emerge da un bellissimo dialogo con Consalvo, ill nucleo della “follia” di Palasciano è forse proprio essersi messo al servizio dell’umanità. Una follia di cui non può e non deve pentirsi, perché un medico non può fare diversamente. Ma «il veleno del mondo è all’origine di ogni esistenza insieme al panico e all’amore di chi ci ha aiutato a crescere» (p. 138).
Scavare nel fondo non tanto della follia, ma nel mistero dell’uomo e dell’amore verso i suoi simili, nell’abisso di un amore che non è più umano, per certi versi, è il cuore di questo romanzo, che drammaticamente professa uno dei compiti della letteratura: indagare l’animo e il mistero della vita.
Titolo: Di Spalle a questo mondo
Autore: Wanda Marasco
Editore: Neri Pozza
Genere: storico/psicologico
AUTORE

Wanda Marasco è nata a Napoli, dove vive. Ha ricevuto il Premio Bagutta Opera Prima per il romanzo L’arciere d’infanzia (Manni 2003) e il Premio Montale per la poesia con la raccolta Voc e Poè (Campanotto 1997).
I suoi testi sono stati tradotti in inglese, spagnolo, tedesco e greco. Il genio dell’abbandono (Neri Pozza 2015) è stato selezionato per il Premio Strega 2015 e portato in scena dal Teatro Stabile di Napoli per la regia di Claudio Di Palma. Nel 2017, sempre per Neri Pozza, è uscito il romanzo La compagnia delle anime finte, arrivato finalista al Premio Strega.