Marina di San Lorenzo, 11 lug 2025, 19:41
Sotto il cielo terso della Riviera dei Fiori, il porto di San Lorenzo al Mare si è trasformato, ancora una volta, in un palcoscenico sospeso tra mare e parole. È qui che prende vita la 14ª edizione di “Due Parole in Riva al Mare”, rassegna letteraria che intreccia storie, emozioni e bellezza, nel cuore dell’estate.

Il primo a salire a bordo — letteralmente, sul trimarano ormeggiato alla Marina — è Fabio Genovesi, scrittore toscano e voce narrante del Giro d’Italia per la Rai, con Alessandro Barbaglia. Con il suo nuovo libro, Mie magnifiche maestre (Mondadori), Genovesi incanta il pubblico raccontando le donne della sua vita: popolane, forti, silenziose, capaci di tramandare forza e amore senza clamore. Donne “vere”, che abitano ancora i suoi sogni e lo guidano come fari antichi.
Tra aneddoti e riflessioni, Genovesi parla anche della sua passione per la bicicletta, metafora di libertà e scrittura: due mondi in cui si sale in sella — o davanti alla pagina — e si parte, senza sapere dove si arriverà.
A tessere le fila di questo festival è Nadia Schiavini, libraia e direttrice artistica, che da quattordici anni dà voce ai libri in uno scenario unico. Con la collaborazione dell’Hotel Riviera dei Fiori e il sostegno del Gruppo Cozzi Parodi, la rassegna unisce luoghi, sogni e comunità in un viaggio condiviso lungo la costa, da San Lorenzo al Mare a Diano Marina, sotto il segno della libertà.
ilRecensore.it ha avuto il piacere di dialogare con l’autore prima del suo incontro con il pubblico.
Nel tuo nuovo libro si sente una voce molto intima, come se scrivere fosse un’urgenza naturale. Ti riconosci nell’immagine che i lettori hanno di te, quella di uno scrittore spontaneo, puro nel sentire?
Fabio Genovesi: «Sì, penso di sì. Non ho mai considerato la scrittura un lavoro vero e proprio, quanto un bisogno. Scrivo come suonerei, se fossi bravo con la musica. Da ragazzo sognavo di fare il musicista, ma capii presto che non avrei mai avuto quel talento. Così ho cominciato a scrivere con lo stesso spirito. Per me i libri sono come dischi: ogni capitolo è una canzone, li rileggo a voce alta finché non suonano bene. È tutta una questione di ritmo, di melodia segreta. La scrittura deve “ballare in bocca”. Quando succede, vuol dire che funziona.»
Nel libro racconti queste ‘maestre’ come donne semplici, ma eroiche. Da dove nasce il bisogno di raccontarle adesso?
Fabio Genovesi: «Non l’ho scelto davvero, questo libro si è scritto da solo. Stavo lavorando a un altro romanzo, quando ho realizzato che stavo per compiere cinquant’anni. Un’età simbolica che mi ha colpito: la mia vita non è cambiata molto da quando avevo sedici anni, non ho seguito percorsi tradizionali — niente carriera, matrimonio, cani, mobili. E allora sono tornate loro, le donne di casa mia, nei sogni. Non ci sono più, ma non se ne sono mai andate. Sono riapparse per aiutarmi come facevano da bambino, senza chiedere nulla. Così ho scritto di loro, come veniva, perché non potevo non farlo.»

Parli di donne del popolo, senza titoli, che hai definito eroiche. Cosa le rendeva così straordinarie?
Fabio Genovesi: «Erano donne vere, donne di cuore. Non prime scrittrici o aviatici, ma donne che tenevano in piedi famiglie mentre i mariti erano in mare per anni. Si inventavano ogni giorno un modo per farcela. Ecco perché le considero eroiche. Non avevano mezzi né privilegi, solo la forza di esserci, ogni giorno. E secondo me, quell’eroismo silenzioso vale quanto — se non più di — quello celebrato nei libri di storia.»
A un certo punto nel libro compare, in sogno, una bambina. È un passaggio toccante. Quanto ti sei esposto in quelle pagine?
Fabio Genovesi: «Tantissimo. Lì ho messo tutto me stesso, anche quello che non avrei mai pensato di scrivere. Ma è successo, come succedono le cose vere. Non ho voluto drammatizzare, perché nella vita il dolore vero arriva da solo, quando vuole lui. E in quel momento lo riconosci. Le rinunce fanno parte del vivere. Siamo meravigliosamente mortali e questo ci costringe a scegliere. Ma rifarei ogni passo, ogni scelta. Per il gusto di riviverle tutte, anche le più difficili. alcune cose non le ho fatte, per farne altre, ma sono felice di averne fatte altre e il mio sogno sarebbe poter tornare indietro per poter rifare tutte le mie scelte e rifare esattamente quelle che ho fatto per il gusto di riabbracciare.»
Zia Gilda, quella che ti portava ai funerali e raccontava le vite degli altri, è una figura chiave. Possiamo dire che è stata la scintilla del tuo mestiere di narratore?
Fabio Genovesi: «Sicuramente sì. Lei mi ha insegnato che ogni vita, anche quella più anonima, è una storia che merita di essere raccontata. Mi portava a funerali di sconosciuti e mi parlava di loro come se li conoscesse da sempre. È così che ho capito che raccontare la vita delle persone è l’atto d’amore più grande. Raccontare qualcuno è dirgli: “tu conti”. È come tornare a casa e dire: “ti ascolto, dimmi com’è andata oggi”. La narrazione è la forma più pura d’amore che conosco.»
E il futuro? Hai già un’idea per il prossimo libro?
Fabio Genovesi: «No, e meno male. Per me è il momento più bello. Quando non so ancora cosa scriverò, tutto può succedere. Anche stasera, magari sul trimarano, potrebbe arrivare un’idea. O nel bagno dell’albergo, chi lo sa? Mi piace non sapere. La gente rovina la vita cercando di capire tutto. Io voglio lasciarmi sorprendere. Come in amore: quando finisce una storia, penso che la cosa più bella sia non sapere chi sarà il prossimo. Anche nella scrittura funziona così. La gioia è sapere che qualcosa arriverà. E fidarsi.»
Nel tuo libro c’è un filo malinconico ma amorevole, come se nulla finisse davvero. Scrivendo, senti che stai eternizzando le persone di cui parli?
Fabio Genovesi: «Un po’ sì. Anche se so che i miei libri non sopravviveranno a lungo — oggi la memoria è fragile — credo che l’amore che ho messo in quelle pagine resterà. Non perché è scritto in un libro, ma perché l’amore lascia tracce. Come diceva Johnny Cash: la mia vita è un sentiero illuminato solo dalle persone che ho amato. Per me il modo per eternizzare le persone, è amarle e allora quell’amore lì non morirà nemmeno dopo di me. L’amore che provi per qualcuno è la sua vera eternità. Ed è anche la tua.»
Familiari e fiabeschi, malinconici e pieni di luce: i racconti di Genovesi sono come onde che non si arrendono alla riva, e continuano a tornare. Anche per questo, da un trimarano al largo di San Lorenzo, Mie magnifiche maestre ha lasciato il porto ma non il cuore del pubblico.