GB84 di David Peace, la ferocia della lotta di classe


GB84

Gran Bretagna, 1984. Il governo annuncia la chiusura di venti miniere di carbone. È l’inizio dell’ultima guerra civile inglese: cinquantatré settimane di sciopero ininterrotto che contrappongono i minatori al primo ministro Margaret Thatcher. Cinquantatré settimane di picchetti e arresti, violenze e intimidazioni, famiglie disperate, licenziati e crumiri, corruttori e corrotti, solidarietà e tradimenti.

A combattere questa battaglia che dilania l’intero paese sono uomini come Terry Winters, braccio destro del dispotico leader del sindacato, che deve fare i miracoli contro la potenza dell’apparato statale e assumersi tutte le responsabilità dei fallimenti; come l’Ebreo, un mediatore senza scrupoli deciso a spezzare lo sciopero con ogni mezzo, che manipola i media e organizza squadracce con l’appoggio dei servizi segreti; come Martin e Peter, due minatori che vedono la loro vita logorarsi giorno dopo giorno, picchetto dopo picchetto, sconfitta dopo sconfitta.  

GB84 è giallo, storia, noir, guerra.

È un romanzo feroce e martellante come il suo linguaggio, che colpisce allo stomaco il lettore alternando una ricostruzione quasi giornalistica a vividi e drammatici spaccati quotidiani. È il canto funebre per una nazione in guerra contro sé stessa, per gli ideali abbandonati in nome di un progresso rapace, per gli uomini e le donne dimenticati dalla storia.

David Peace tramanda l’ultimo, epico atto della lotta di classe, una lotta senza vincitori né vinti che ha segnato per sempre il futuro della Gran Bretagna. 

Già a partire dal 1970 l’idea di chiudere i pozzi di carbone, di privatizzare le industrie di proprietà dello stato e liberalizzare il mercato fece parte della strategia del governo conservatore di Edward Heath (1970-1974).

Quando i minatori, attraverso gli scioperi che si susseguirono tra il 1972 e il 1974, fronteggiarono vittoriosamente la politica conservatrice dell’epoca e contribuirono alla caduta del governo Heath, il Partito Conservatore se la legò al dito.

Durante il periodo in cui il Partito tornò all’opposizione venne stilato un documento confidenziale, il “Rapporto Ridley“; secondo il rapporto il principale problema politico-economico che il prossimo governo conservatore doveva affrontare sarebbe stato lo smantellamento delle industrie di stato in favore di una sempre più prorompente privatizzazione.

I minatori, i ferrovieri, i siderurgici, in quanto esponenti di un vasto settore pubblico fatto di lavoratori molto ben organizzati, vennero individuati come i principali oppositori ai loro piani e il rapporto esortava a schiacciarli con qualunque mezzo utile.

Quando Margaret Thatcher venne eletta nel 1979 tra le file dei conservatori fece di questo rapporto uno dei pilastri della sua politica. Nel 1980 100.000 lavoratori dell’industria siderurgica perdettero il lavoro. Nel 1982 la Thatcher se la prese con i lavoratori del pubblico impiego e ne mise addirittura in discussione la libertà ad organizzarsi sindacalmente in quanto esponenti degli apparati dello Stato.

Era ora arrivata la resa dei conti con i minatori e l’industria del carbone (a quell’epoca la più importante della CEE). Per i minatori e le loro famiglie questo fu il principio di un incubo ad occhi aperti.

All’inizio di marzo del 1984 venne annunciata la chiusura di 20 pozzi e la conseguente perdita di 20.000 posti di lavoro tra i minatori. Il 12 marzo 1984, a partire dallo Yorkshire del sud, cominciò un enorme sciopero dei minatori che coinvolse in fretta tutte le miniere del paese e che durò un intero anno.

Nel luglio 1984 Margaret Thatcher disse in Parlamento: «Mai la democrazia parlamentare si piegherà al governo della folla. I minatori sindacalizzati sono il nemico interno».

Un nemico su cui il governo gettò tutta la sua potenza di fuoco, arrivando ad usare metodi ai limiti della legalità e spendendo una quantità di soldi tale da dimostrare che lo scopo dello Stato non era tanto quello di chiudere le miniere perché considerate un sistema obsoleto e poco remunerativo, ma per piegare, umiliare e distruggere un comparto che sentiva pericoloso per le sue politiche.

Il risultato di queste scelte si riverberò nel tempo. Nel giro di pochi anni quasi tutte le miniere inglesi vennero chiuse e nel 2000 rimanevano solo 13 miniere aperte; il tessuto economico delle zone di estrazione del carbone venne irrimediabilmente compromesso perché la maggioranza degli abitanti lavorava in quel settore, le famiglie si sgretolarono e tuttora queste sono le aree del Regno Unito più colpite dalla povertà, dalla delinquenza e dall’abuso di droghe e alcol.  

GB84” descrive questo anno tumultuoso attraverso una pluralità di voci in cui le visioni, le azioni e gli interessi contrapposti si fronteggiano tra loro.

Lo fa attraverso le gesta nell’ombra dell’autista di un losco politico, l’Ebreo, incaricato di far fallire lo sciopero con ogni mezzo necessario, legale o illegale.

Lo fa attraverso il Meccanico, un ex neonazista ricattato e reclutato dall’Ebreo per picchiare i manifestanti durante i picchetti di sciopero.

Attraverso Malcom Morris, una spia incaricata di scoprire i segreti di tutti i rappresentanti del Sindacato Nazionale dei Minatori.

E poi c’è Terry Winters, l’assistente del presidente del Sindacato dei minatori Arthur Scargill, incaricato di far tornare i conti nella sempre più precaria situazione economica del Sindacato.

La trama di GB84 si sussegue in un incessante ondata di azioni contrapposte che mirano alla distruzione dell’antagonista di turno.

I capitoli procedono di settimana in settimana per tutto l’arco dell’anno di sciopero e vengono ulteriormente suddivisi in paragrafi che danno voce ai vari attori sul campo.

L’autore non descrive minimamente i propri personaggi, ce li fa conoscere attraverso i loro pensieri, azioni e alle loro mire politiche.

La scrittura risulta così frammentata, misteriosa, un puzzle in cui trovare i vari indizi che permetteranno di ricostruire a poco a poco l’intera vicenda.

La trama di GB84 assomiglia quindi a quella di un giallo o di un noir, in cui le varie informazioni si devono cercare e sommare per trovare un senso al tutto e ciò richiede al lettore uno sforzo di concentrazione maggiore rispetto ad un romanzo più lineare.

Esternamente ai vari capitoli che descrivono la lotta tra le grandi forze opposte vi è la cronaca e il flusso di coscienza di due minatori che descrivono come gli eventi della Storia ricadano e si abbattano sulla loro vita.

Anche la scelta del font è significativa; i caratteri di scrittura usati per far parlare i due minatori Martin e Peter è minuta, quasi come se si trattasse di una lunga nota a lato della Grande Storia che si consuma sulle loro teste.

Eppure è proprio da quella cronaca così poco sentimentalistica che noi percepiamo il dolore, la rabbia, l’impotenza e l’umiliazione di cittadini che avevano sempre lavorato duramente e pagato le tasse che si ritrovarono da un momento all’altro ad essere identificati come nemico della nazione.

Sentiamo l’ingiustizia di chi viene tradito dal proprio Stato; sentiamo le botte, il sapore di sangue e di terra, la mortificazione di trovarsi sui telegiornali ad essere descritto come il violento che scatena il caos quando la violenza viene invece da quelle forze di polizia che in realtà dovrebbero difendere i cittadini.

Percepiamo il terrore che viene identificato in uno splendido cavallo bianco e dal suo cavaliere provvisto di manganello e scudo antisommossa. Martin e Peter ti fanno essere lì con loro nella battaglia, perché è proprio di questo che si tratta:  

"... Poi li sento... Sento gli zoccoli. Dieci cavalli dietro la squadra antisommossa e i cani... Quest'altro cuneo di sbirri che viene fuori. in fondo alla via. Guardo l'orologio... Sono le sei e mezzo quando suona il fischietto e i cavalli partono alla carica e ci si rovescia addosso l'inferno... Oggi il loro comandante è un vero figlio di puttana. Dice chiaro e tondo: Prendete quei bastardi e fatemeli fuori... Cinquanta giornalisti a due passi. Cinquanta cameramen. E neanche uno di quei bastardi lo scriverà. Neanche uno di quei bastardi lo riprenderà. Non una parola di quello che ha detto lo stronzo. Non un'inquadratura del casino che segue... Tutti che scappano. Da questa parte. Da quella parte... Manganello per questo... Manganello per quello...Per lui. Per quell'altro...

GB84” è un libro duro, feroce, sincero, che grida di una rabbia impotente, che ci fa partecipi della storia di chi ha lottato per riavere una vita certamente dura ma dignitosa.

Ci mostra come uno Stato può essere spietato verso cittadini che sente di serie B, e quali tecniche usa pur arrivare ai propri obiettivi. I soli barlumi di speranza di questi minatori risiedono nel sostegno non solo delle proprie famiglie ma anche di persone comuni e di altri settori di lavoratori dentro e fuori dell’Inghilterra. Eppure tutto ciò non bastò.  

Questo è un libro complesso, inadatto a chi cerca una lettura veloce e piacevole, ma anche a chi può rimanere turbato da un linguaggio non politicamente corretto.

Eppure questo è l’unico linguaggio possibile, una descrizione brutale di un’epoca brutale. I lettori che si lasceranno travolgere dalla storia saranno ripagati da una lettura forte e coinvolgente che li indignerà e li renderà più consapevoli di come un governo si può comportare anche in uno stato occidentale che si considera democratico. 

David Peace, 1967, Ossett (West Yorkshire) 

Scrittore inglese; nel 2003 è inserito nella lista dei migliori scrittori della Gran Bretagna dalla rivista Granta.

È autore dell’osannato Red Riding Quartet che gli è valso l’epiteto di maestro del noir al pari di James Ellroy grazie al suo quinto romanzo, GB84 (Tropea, 2006), ha vinto il prestigioso James Tait Black Memorial Prize.

Con Tokyo anno zero, bestseller in Gran Bretagna, Usa e Olanda e in traduzione in dieci lingue, è riconosciuto come una delle voci più originali della narrativa contemporanea.

Presso il Saggiatore anche The Damned United – il racconto della vicenda di Brian Clough, storico allenatore del Leeds United – che il Times ha definito «il più grande romanzo mai scritto sullo sport». 

Vive a Tokyo con la moglie e i figli.

Autore

  • Ambra Devoti

    Ambra Devoti, nata a Piacenza nel 1984. Ha frequentato il liceo artistico nella sua città natale per poi trasferirsi a Firenze dove si è laureata all'Accademia delle Belle Arti. Appassionata di cinema, musica, arte e letteratura, assolutamente indispensabili per vivere una vita degna di essere vissuta

    Visualizza tutti gli articoli