Ilaria Gaspari è nata a Milano.
Ha studiato Filosofia alla Scuola Normale Superiore di Pisa e si è addottorata all’università Paris I Panthéon-Sorbonne.
Nel 2015 è uscito per Voland il suo primo libro, Etica dell’acquario, a cui è seguito per Sonzogno Ragioni e sentimenti.
Per Einaudi ha pubblicato Lezioni di felicità, Vita segreta delle emozioni e Cenerentole e sorellastre.
Collabora con diverse testate giornalistiche, realizza podcast, ha una trasmissione su Radio 3 e tiene corsi di scrittura alla Scuola Holden. Vive tra Roma e Parigi. Viaggia molto, spesso con il suo cane Emilio.
Nel 2022 per Emons Record ha realizzato il podcast Chez Proust, un viaggio in quattordici episodi alla scoperta di Alla ricerca del tempo perduto.
Per Guanda nel 2024, pubblica La reputazione, libro che abbiamo letto e recensito QUI e abbiamo approfondito A tu per tu con l’autrice.
Marie-France ci mostrava che il tempo non può essere fermato, ma proprio nelle mode, che cambiano e lo cambiano, trova la sua sublimazione.
da La reputazione, Ilaria Gaspari, Guanda
Benvenuta Ilaria tra le pagine de ilRecensore.it, la rivista letteraria pensata per tutti i protagonisti di questa meravigliosa passione che è la lettura.
1. Rompiamo subito il ghiaccio con una domanda che racchiude mille possibilità: Perché scrivi? Raccontaci del tuo rapporto con la scrittura.
«Scrivo perché è l’unica cosa che mi viene naturale fare, da quando ero bambina.
È sempre stato per me un gesto naturale, che si accompagna alla spinta forte, che sento da sempre, a voler raccontare le cose per capirle meglio. Penso che un ruolo nel mio rapporto con la scrittura ce l’abbia anche il fatto che io soffro di amusia (praticamente è come se il mio cervello non recepisse la musica, il ritmo e la melodia).
Questo ha fatto sì che mi concentrassi molto di più sulle parole: è una forma di compensazione, un modo di capire, un gesto che attutisce anche l’ansia; tutto passando per le parole.»
2. «La moda passa, lo stile resta» afferma Coco Chanel. Marie France, la protagonista indiscussa de La reputazione, incarna alla perfezione eleganza e fascino, sembra quasi un personaggio cinematografico. Come nasce e cosa rappresenta per te questa figura così carismatica e complessa?
«Mi fa molto piacere questa vostra considerazione sul personaggio di Marie France: un personaggio che ho amato scrivere. Ma che, curiosamente, si è rivelato in maniera spontanea.
Quando ho cominciato a immaginarmi la boutique, è emersa questa immagine di una signora francese che vive da tanti anni in Italia e ha un rapporto molto nevrotico con la bellezza, con la propria immagine e il modo in cui gli altri la vedono. È una donna di un altro tempo, è cresciuta con l’idea che di dover essere bella e che il passare degli anni, per la bellezza di una donna, sia l’insidia peggiore.
Anche se in realtà poi, se solo osasse guardarsi, si renderebbe conto che i fatti la smentiscono: lei ha un fascino incredibilmente forte di cui non si rende conto appieno, non riesce a prenderne consapevolezza perché è imprigionata in un’idea della bellezza molto crudele. Che però non le impedisce di impiegare tutte le sue energie nel tentativo di salvare sé stessa e le donne che incontra, cercando di offrire un accesso all’idea di bellezza che loro sognano per sé stesse.
Probabilmente dentro questo personaggio sono confluiti tanti personaggi che ho amato, una su tutte la zia Mame di Patrick Dennis, e anche tante donne che ho conosciuto, incontrato e osservato nella mia vita. Ci sono poi dei tratti di me.
È un personaggio aperto, luminoso, ma con un lato gotico, oscuro, che si rivela nella seconda parte del romanzo, perché è una donna che ha sofferto molto.»
3. Una boutique, un mistero e tante maldicenze. La calunnia è un tema centrale nel tuo libro. Pensi che oggi, nell’era dei social media, le dinamiche di maldicenza siano ancora più pericolose? Le maldicenze riescono ancora a rovinare la reputazione delle persone?
«Senza dubbio penso che i social media rendano ancora più pericolose le dinamiche della calunnia, in quanto amplificano a dismisura sia la possibilità di costruire o costruirsi una reputazione, sia quella di distruggerla in tempi brevissimi.
Credo che i meccanismi psicologici siano però sempre gli stessi. Il libro è ambientato in un tempo in cui i social non esistevano, proprio perché volevo mettere a nudo i meccanismi, e lasciare ai lettori la possibilità di concentrarsi su quelli. Oggi, però, abbiamo a disposizione dei mezzi potenziati per diffondere notizie e maldicenze, quindi se il meccanismo è lo stesso, il mezzo consente di arrivare molto più lontano senza nemmeno doversi sforzare. Ambientando la storia in un passato relativamente recente, una quarantina di anni fa, ho scelto di raccontare un mondo diverso.
Ma volevo fosse un libro che facesse pensare all’oggi e mi serviva questa distanza di ambientazione, per suggerire a chi lo avesse letto di riflettere sulle differenze e sulle analogie. I social media hanno la caratteristica di essere molto semplici da utilizzare, dunque anche quando ci coinvolgono nella costruzione della calunnia non richiedono un grande investimento di responsabilità; e questo ha un peso, e conseguenze anche irreparabili sulla reputazione delle persone. Il che può essere pericoloso per l’immagine di chi è più fragile, magari sta crescendo o ha delle forti insicurezze.»
4. “La moda è tutt’altro che una faccenda frivola: è un rito, un gergo, un sogno, un segreto.” Come sei arrivata a definire la moda in questi termini e quale ruolo gioca nel percorso di crescita dei tuoi personaggi?
« Il tema della moda mi interessa da molto tempo, non come susseguirsi di tendenze ma come linguaggio, come un modo per mettere in comunicazione l’idea che abbiamo del nostro corpo con un’immagine più articolata di noi stessi.
È una questione anche molto complessa: invece di scrivere un saggio sulla moda, ho pensato fosse più bello metterla in scena, mostrarla, questa relazione così sfaccettata che abbiamo con la nostra immagine. In passato ho scritto dei testi un po’ più autobiografici su questa relazione con l’immagine, per esempio un saggetto nella collana Quanti di Einaudi che si intitola “Cenerentola e sorellastre”; ma l’idea di scrivere un romanzo che parlasse di moda la coltivo da molto prima, da quando lavoravo in uno showroom di alta moda e ho vissuto l’esperienza del potere comunicativo della moda.
Con tutte le contraddizioni che questo potere solleva, anche a livello di fraintendimenti, di desideri che rimangono frustrati, di mancata corrispondenza tra l’immagine reale e quella percepita. Sono tutte questioni importanti e tutt’altro che superficiali, perché riguardano qualcosa di profondo, che è la nostra identità, la nostra percezione e comunicazione con gli altri.»
5. La Roma degli anni Ottanta è uno scenario molto evocativo. Cosa ti ha ispirato a scegliere questo periodo e in che modo ha influenzato lo sviluppo della storia?
«Ho scelto di ambientare il libro negli anni ‘80 per una serie di ragioni che si sono combinate insieme per caso. Una è una ragione poetica: mi piaceva l’idea di scrivere un libro ambientato qualche anno prima della mia nascita perché volevo provare ad immaginarmi un mondo che ho conosciuto solo con le fotografie, con i racconti degli altri, nei vestiti di mia mamma e mia zia ragazze, negli oggetti; tutte cose, insomma, conosciute per la sola via dell’immaginazione.
Mi sembrava una sfida molto seducente, questo sforzo di immaginazione che mi avrebbe portata indietro nel tempo. Poi c’era il fatto che questa storia se accadesse oggi si svolgerebbe tutta online, ma io volevo raccontarla in modalità analogica, senza che i personaggi usassero solo degli smartphone per diffondere le voci. Volevo che dovessero farlo attivamente.
Ma la ragione più determinante è stata che la leggenda metropolitana che racconto è nata ad Orléans, e in seguito si è diffusa a Roma negli anni ‘80 per due motivi: il primo è che erano arrivati i negozi di moda per ragazze anche in Italia e le condizioni sociologiche erano simili a quelle della Francia di quindici anni prima; il secondo è che nella Roma di quegli anni sono scomparse delle ragazzine, in particolare due: Mirella Gregori, alla cui scomparsa ho ispirato la storia della ragazza che sparisce nel libro, e poche settimane dopo Emanuela Orlandi.»
6. “L’apparenza e l’identità sono in costante tensione.” Questa osservazione si applica alla perfezione in un mondo dominato dai filtri di Instagram e dai modelli sociali così inarrivabili. Non abbiamo ancora imparato ad accettarci per quello che siamo davvero? La moda ci avvicina di più alla sostanza o è un modo per nasconderci?
«È una domanda molto bella e sottile, perché la percezione della nostra immagine è sempre mediata da codici di cui possiamo essere più o meno consapevoli, e certamente la moda ci aiuta a nascondere delle cose di noi, ma ci rivela anche qualcosa di molto vero e sincero. Proprio per questo mi interessava raccontare il linguaggio della moda sia come maschera, che come relazione.
A volte le maschere ci servono a portare alla luce qualcosa che è profondamente nascosto in noi e che se non avessimo la protezione della maschera non riusciremmo a far emergere. Oggi abbiamo molti mezzi che fungono da intermediari per rappresentarci: i social, ma anche quella apparecchiatura che è dentro il nostro telefono, una fotocamera nella quale ci possiamo fotografare, sbirciare, controllare, filtrare, modificare. Questi mezzi ci offrono un immenso arsenale di possibilità per camuffarci, il che può generale un rapporto malsano con la nostra immagine.
Ci sono dei dati che riguardano la chirurgia estetica allarmanti, un campanello che ha a che fare con l’idea, interessante ma anche pericolosa, di un’estensione sul controllo della nostra apparenza. Nella moda c’è una vocazione creativa che possiamo abbracciare a condizione di sostituire un’idea di bellezza aritmetica, fatta di misure, corrispondenze, adesioni precise a un modello ideale, con il fascino, il carisma, la personalità.
Questa è un’idea su cui dobbiamo ancora lavorare molto ed è una cosa che mi interessa particolarmente per le sue possibilità creative.»
7. La boutique Joséphine è un luogo dove si intrecciano vite e segreti, n piccolo angolo di Parigi a Roma. Cosa ti ha ispirato nella creazione di questo ambiente così carico di significato?
«La Boutique Joséphine esiste solo nella mia testa; nella mia immaginazione ho arredato una boutique che ho visto molte volte passandoci davanti per strada, ma senza mai entrarci, proprio perché volevo uno spazio da abitare con l’immaginazione.
Mi ha ispirato la suggestione di negozi che appartengono a un mondo novecentesco, quelli in cui accompagnavo la mia nonna e dove mi annoiavo molto da piccola, però intuendo una vicinanza molto sincera, provvisoria ma profonda, tra donne diverse che si trovavano lì e si confrontavano con i propri desideri e le proprie insicurezze.
Questi ricordi hanno avuto un ruolo molto forte nell’aiutarmi a immaginare la boutique; poi naturalmente c’entra la mia esperienza lavorativa nello show room a Parigi, e poi molti molti film che ho visto, tutti girati a Roma negli anni di ambientazione del romanzo.
Mi sono soffermata a raccogliere dettagli ovunque potessi, perché per me l’atmosfera in un romanzo è importantissima e ho lavorato molto su questo immaginario.»
8. La decisione di Marie-France di aprire una linea per adolescenti è un punto di svolta nella storia. Cosa simboleggia questa scelta per lei e per il suo futuro?
«Lì per lì è solo una scelta commerciale, legata a un fatto reale: in effetti, nei primi anni ’80 la moda per ragazzine irrompe sulla scena ed è una piccola rivoluzione. Ho immaginato che Marie-France, da brava donna d’affari qual è, oltretutto venendo dalla Francia dove quella piccola rivoluzione era già avvenuta una quindicina d’anni prima, ne abbia intuito il potenziale, e seguendo il suo fiuto abbia deciso di trasformare il negozio in modo da accogliere la clientela nuova.
Di fatto, è un momento di passaggio da cui non si torna indietro: anche il suo grande successo negli affari, il successo di questa specifica intuizione, contribuisce a fare di lei, che oltretutto è una straniera, il bersaglio di un attacco spietato… del resto, le calunnie colpiscono spesso chi ha successo, chi si fa notare (v. la storia di Mia Martini).»
9.”Quando fidarsi significa rischiare.” Come hai esplorato il tema della fiducia nel romanzo, e quali riflessioni hai voluto suscitare nei lettori?
«Volevo mostrare quanto la fiducia sia un bene fragile e tenace. Il patto di fiducia, di fronte a una calunnia, subisce un contraccolpo tremendo, doloroso.
Ed è esattamente quello che succede nel libro: Barbara non è abbastanza forte da fidarsi di Marie-France, e sbaglia, purtroppo, con delle conseguenze che pagheranno tutte. Ma è una cosa che succede molto molto spesso, di fronte alle calunnie, che hanno proprio questo specifico potere, di rompere rapporti di fiducia profonda…»
10. Quali autori o opere ti hanno influenzato nella scrittura di La reputazione, e come hai fatto tesoro delle loro lezioni nel creare questa storia?
«Penso che per chiunque scriva, quando si immerge davvero in una storia, l’influenza di altri libri/scrittori che sono stati anche magari decisivi nell’elaborazione di quello specifico romanzo si situi a una profondità più inconscia che consapevole.
Quindi sicuramente me ne sfugge qualcuno che pure avrà avuto un ruolo… quelli che sono emersi, anche a partire dai commenti di chi l’ha letto mentre lo scrivevo, finora sono, oltre a una miriade di saggi sulla moda e sulla diffusione di voci, notizie, calunnie, e naturalmente all’inchiesta di Edgar Morin Medioevo moderno a Orléans, che racconta l’origine della calunnia di cui parlo anch’io, nella Orléans del 1969, senz’altro Zia Mame di Patrick Dennis, romanzo che adoro; Rebecca di Daphne Du Maurier per l’atmosfera di una storia raccontata molti anni dopo la sua fine. E naturalmente il maestro Marcel Proust sulle dinamiche delle parole che avvelenano reputazioni…»
11. Infine chiudiamo con due inviti che rivolgiamo a tutti. Tre libri che secondo te tutti dovrebbero leggere e un autore da scoprire o riscoprire.
«Non credo che esistano libri che possano piacere a tutti.
I libri veramente belli hanno, per forza di cose, qualcosa – qualcosa di proprio, di irripetibile, che dunque non può mettere d’accordo ogni gusto specifico. In ogni caso, tre libri che secondo me sono un po’ dimenticati ma che, ogni volta che li consiglio a qualcuno, riscuotono gran successo (e stupore, anche, ogni tanto): Bel Ami di Maupassant, una storia di ambizione e impostura; Thérèse Raquin di Emile Zola, la storia di un delitto imperfetto e un’impareggiabile riflessione su cosa sia la colpa; La donna della domenica di Fruttero e Lucentini, che è giallo e satira di costume e pullula di personaggi indimenticabili.»
12. “Non abbiate timore dell’assurdo; non indietreggiate dinanzi al fantastico” diceva Karen Blixen. Lasciaci con un pensiero che senza cadere nelle trappole della speranza o della disperazione ci aiuti a mettere in fila i nostri passi anche domani.
«Un pensiero attribuito a Montesquieu: Bisogna aver perso metà del proprio tempo per sapere cosa fare dell’altra metà. Insomma: non lasciamoci mai paralizzare dalla sensazione di essere “in ritardo”. La vita non è una corsa.»
Grazie mille per la disponibilità Ilaria 🙂