LE SPIE DI STALIN – I ragazzi di Cambridge che cambiarono la storia
SINOSSI
Dai primi anni Trenta fino ai momenti cruciali della Guerra Fredda, un folto gruppo di giovani idealisti europei e americani – da Klaus Fuchs a Bruno Pontecorvo ai coniugi Rosenberg – lavorò sottotraccia infiltrandosi per conto dell’Unione Sovietica nei gangli più delicati del potere e della sicurezza nazionale con l’obiettivo di consegnare a Mosca i segreti dell’energia atomica.
Tra essi spiccava un quintetto di blasonati studenti di Cambridge, cinque giovani appartenenti all’élite intellettuale e alla upper class inglese – Kim Philby, Donald Maclean, Guy Burgess, Anthony Blunt e John Cairncross, meglio noti come i Cinque di Cambridge – che tradirono la Corona britannica sposando l’ideologia comunista e idealizzando Iosif Stalin come l’unico leader in grado di contrastare l’avanzata dei fascismi e del nazismo.
Ma il sospetto che a guidare l’epica barricadera di quella privilegiata jeunesse dorée uscita dal Trinity College di Cambridge sia stato un nonsoché di estetico, una sorta di religione personale ritagliata su misura del proprio ego e del proprio narcisismo, rimane forte: dietro al grande tradimento che questi giovani (insieme a tante altre spie britanniche, molte delle quali rimaste tuttora sconosciute) avevano assunto come compito morale c’era ben altro.
Una società, quella post-vittoriana, uscita malconcia dalla Grande Guerra, in cerca di un’identità e che tentava di scrollarsi di dosso un’ipocrisia antica avviandosi verso una scintillante modernità. Una porzione della quale sembra essersi riversata nell’estasi del tradimento praticata da quei caricaturali “esteti armati”. La loro sorte, fra l’alcolismo e un torbido esilio sovietico, ha il sapore acre del finale di un dramma elisabettiano.
RECENSIONE
“Il vento soffia su Market Square. Per un breve istante s’increspano le acque placide sulle sponde sinuose del fiume Cam. All’orizzonte già si intravedono la Great Court, i grandi spazi quadrangolari nei quali sono racchiusi le aule, le biblioteche, i dormitori, i refettori: un castrum romano che, come quelli dell’età dei Cesari, allude a un ordine necessario, ineludibile.
Quello di Cambridge sembra un mondo a parte. (…)
Un’isola di eccellenza. (…)
…ciò che a Cambridge si tenta pudicamente di velare dietro un sorriso legnoso è un altro sorprendente primato: quello di aver sfornato il più alto e il più pericoloso numero di traditori della Corona. I nomi di alcuni di loro sono incisi nell’immaginario collettivo, a cominciare da Oliver Cromwell. Ma non mancano illustri epigoni, come Kim Philby, Donald Maclean, Guy Burgess, Anthony Blunt e John Cairncross. Ovvero il quintetto di spie più famoso al mondo.
Questa è la loro storia”.
Esiste un detto popolare che dice “La prima spia della storia fu il serpente del Libro della Genesi”.
Le spie sono sempre esistite e anche lo spionaggio. Da Enrico VIII – che affidò il servizio di intelligence a Thomas Cromwell; alla regina Elisabetta, figlia di Enrico – che arruolò Sir Francis Walsingham, a cui va ricondotta la primogenitura dell’istituzione di un servizio di intelligence i cui agenti venivano reclutati dalle migliori università inglesi; a Pieter Paul Rubens; a Antoon van Dyck; e, poi, ai personaggi dei romanzi, tra tutti Kim di Rudyard Kipling a cui si sono ispirati Ian Fleming, Graham Greene e John Le Carré.
Per parlare di spie, sul finire del 2024 è uscito il libro-indagine “Le spie di Stalin. I ragazzi di Cambridge che cambiarono la storia”, edito da Neri Pozza, del giornalista e scrittore Giorgio Ferrari.
Questo saggio racconta la storia di un quintetto di studenti dell’alta borghesia britannica – i cosiddetti Cambridge five – che agli inizi degli anni Trenta, dall’interno della prestigiosa cittadella universitaria di Cambridge, divennero agenti segreti doppiogiochisti, al servizio dell’Unione Sovietica – in un’Europa che stava per essere travolta dalle armate naziste.
Si trattava di: Kim Philby (nome in codice: Stanley), Guy Burgess (nome in codice: Hicks), Donald Duart Maclean (nome in codice: Homer), Anthony Blunt (nome in codice: Johnson) e John Cairncross (nome in codice: Liszt).
Kim Philby – nome in codice Stanley – figlio di un diplomatico inglese di stanza in India che gli aveva dato il nome del bambino spia dell’omonimo romanzo di Rudyard Kipling, Kim.

«Fu il disastro laburista del 1931 a spingermi a pensare a possibili alternative a quel partito. Cominciai a prendere parte attiva alle riunioni dell’associazione socialista dell’Università di Cambridge. Ci misi due anni per passare dall’ideologia socialista a quella comunista. Nell’estate del 1933, lasciata l’università con la laurea in tasca, mi liberai di tutti i dubbi: la mia vita doveva essere votata al comunismo».
Guy Burgess – nome in codice Hicks – orfano di un ufficiale di marina, cha dalla Royal Navy passò, causa un difetto visivo, al Trinity College. Aveva la capacità di ammaliare docenti e compagni di scuola non nascondendo le sue inclinazioni marxiste e “un’omosessualità ostentata con festosa goliardia”.
«Il codice segreto di Cambridge consisteva in una spericolata promiscuità sessuale velata di misoginia. Di quel mondo, di quella compiaciuta anarcoide libertà di inclinazioni, Burgess divenne interprete esemplare nonostante fosse, come in molti ricordano, “grasso, rozzo e disordinato”. Doti che gli garantirono l’ammirata attenzione di un altro allievo del Trinity: Donald Maclean».

Donald Duart Maclean – nome in codice Homer – figlio di un moralista delle Highlands, ragazzo riservato, timido e poco incline agli sport tanto perché i compagni lo soprannominassero Lady Maclean.
“…dietro la cortina della sua timidezza – nella quale si annidava un persistente senso religioso – si agitava l’irrisolto nodo di un’omosessualità che Maclean non aveva mai davvero saputo accettare.”
Anthony Blunt – nome in codice Johnson – terzo figlio di un pastore anglicano e cugino della madre di Elisabetta II, futuro storico dell’arte e responsabile della conservazione di tutte le opere d’arte che appartenevano alla Corona Inglese, omosessuale dichiarato, diventò l’amante di Julian Bell, nipote di Virginia Woolf.

“…il suo era un marxismo estetizzante, un apollineo carro del sole che solcava i cieli del mondo classico deprecando la miseria delle convenzioni ed esaltando viceversa l’amore greco fra maschi come una forma superiore dei rapporti umani”.
John Cairncross – nome in codice Liszt – di nascita scozzese, l’unico dei cinque a non avere natali illustri, conosciuto come il «Quinto uomo» di Cambridge.
“Cairncross frequenta ambineti elevati, è ben informato e si esprime con disinvoltura e arguzia sui più svariati argomenti.”
Eccoli i Cambridge five al completo, pronti per essere reclutati e diventare agenti doppiogiochisti: di giorno portavano avanti il lavoro ufficiale e di notte fotografavano i codici, ricopiavano i dispacci, trasmettevano ai russi le informazioni che avevano raccolto durante lo svolgimento del proprio lavoro e nello stesso tempo dovevano adottare tutti gli accorgimenti opportuni per non venire smascherati.

C’è chi come Cairncross diventerà membro del servizio segreto inglese MI6 a fianco di Churchill – e poté così attingere a una mole impressionante di documenti segreti, tra cui i preparativi per la fabbricazione di una bomba atomica – e poi assegnato a Bletchley Park, l’unità principale di crittoanalisi del Regno Unito e chi come Maclean approdò al Foreign Office presso l’ambasciata di Parigi; chi, poi, come Blunt fu nominato curatore della collezione di dipinti della Corona.
Tutti, in un modo o nell’altro, si ritrovarono insieme all’interno dell’MI6, compreso Philby – e in seguito alcuni arrivarono addirittura a Washington.
Il famigerato MI6 che tanto vediamo nei film di James Bond dove le manovre rocambolesche e i singolari espedienti che ci fanno tanto sorridere non sono sempre frutto della fantasia dei registi. Per esempio, un giorno Kim Philby, mentre era in Spagna, fu fermato e perquisito dai fascisti: in tasca aveva un foglietto con il numero di codice assegnato dall’NKVD e l’unico modo che trovò per non farlo trovare fu quello di mangiarselo.
“Non posso dirle quale sarà il suo compito – rivela l’ufficiale in borghese del ministero della Guerra che ingaggia Philby nel servizio segreto – Posso dirle soltanto che se lei vuol lavorare con noi non deve aver paura del sotterfugio e non deve aver paura dell’omicidio”.
Tutti – convinti di dover dedicare la propria vita alla causa comunista contro il nazismo – vennero reclutati, addestrati e formati da reclutatori professionisti sparsi in tutta Europa, agli ordini di Mosca. Questo per quasi un trentennio.
Perché a distanza di anni, i Cambridge five – e soprattutto Philby – esercitano ancora un fascino oscuro? Com’è accaduto che un gruppo di giovani della buona borghesia inglese abbia consapevolmente tradito la propria Patria?
“Nessuno avrebbe immaginato che dietro i volti dei brillanti giovani di alcuni fra i più rinomati college di Eton, Oxford e Cambridge si nascondessero degli idealisti animati da qualcosa che somigliava a una fede religiosa.”
Per far capire quanto la loro storia arrivi anche ai giorni nostri, vi rivelo che nell’ottobre del 2017 l’ex presidente della Duma e capo dell’Svr (i servizi di intelligence russi all’estero) Sergej Naryškin ha inaugurato a Mosca una mostra con cimeli e documenti top secret spediti da Philby a Stalin e Molotov durante la Grande guerra patriottica.
E non è tutto. Nella primavera del 2024 la SMERŠ, acronimo di SMERt’ Špionam, “morte alle spie”, il dipartimento di controspionaggio dell’Armata Rossa istituito nel 1943, è tornata in auge, su disposizione di Valdimir Putin. Primo ingaggio, il campo di battaglia dell’Ucraina.
La saga delle spie non è finita. E neanche la caccia alle spie…
Se vi intrigano le storie delle spie e, in particolare, se volete approfondire la storia dei Cambridge five, vi consiglio una miniserie televisiva britannica del 2003, composta da 4 episodi, diretta da Tim Fywell e sceneggiata da Peter Moffat – Cambridge Spies.
TITOLO: LE SPIE DI STALIN – I ragazzi di Cambridge che cambiarono la storia
AUTORE: GIORGIO FERRARI
EDITORE: Neri Pozza
GENERE: saggio storico
AUTORE

Giorgio Ferrari, inviato speciale e editorialista di Avvenire, è stato corrispondente diplomatico e di guerra per varie testate coprendo per un trentennio le principali vicende internazionali, dall’Iraq al Libano, all’Egitto alla Libia all’invasione dell’Ucraina, dalle elezioni presidenziali americane alla lunga stagione del terrorismo islamico. Fra le sue pubblicazioni, Cuba senza Castro (2007), Ombre Rosse (2010), I muri che ci separano (2019).
Per La Vita Felice, oltre a Le Cinque Giornate di Radetzky (2008) e Gli ultimi giorni di Radetzky (2020), ha pubblicato nel 2016 La sera della prima, rievocazione storica della nascita del Don Giovanni di Mozart e, nel 2023, L’arca russa. Il mito della «grande Asia» dall’impero degli zar alle guerre di Vladimir Putin.
Presso Neri Pozza sono apparsi Uccidete il Re Buono, da Bava Beccaris a Gaetano Bresci (2021) e Il naufragio di Šostakovič. Arte e cultura sovietica negli anni del terrore staliniano (2022).