L'impossibile ritorno di Amélie Nothomb - Abbiamo letto
L'impossibile ritorno di Amélie Nothomb - Abbiamo letto

L’impossibile ritorno di Amélie Nothomb: l’inafferrabile desiderio

L’impossibile ritorno

Amélie Nothomb torna nel paese amato, il Giappone, il luogo della sua infanzia e della disastrosa vergogna come impiegata (vedi Stupore e tremori). Questa volta è in compagnia dell’amica fotografa Pep Beni e durante i dieci giorni di viaggio sperimenta il kenshō (una sorta di estasi contemplativa), abbandona lo champagne per i whisky giapponesi, si immerge con una nuova prospettiva nei luoghi della gioventù. E se alcune parole giapponesi sono ormai sbiadite nella memoria, le sensazioni che i suoni, gli odori e la luce le provocano si riaffacciano come se non avesse mai lasciato il Giappone. Questa avventura “à la Thelma & Louise” diventa così un’occasione non solo per elaborare il lutto del padre ma anche per capire la sé stessa di oggi.

In quello che sembra essere solo la cronaca di un viaggio nel paese del Sol Levante Amélie Nothomb incastra e solleva numerosi punti di attenzione.

Magnificamente, in ciò che banalmente appare come un semplice (leggi deludente?) resoconto, il lettore ritrova le tematiche a lei care, stimoli per riflettere sul significato di viaggio, oltre all’inconfondibile stile scarno ed elegante, sottile e incredibilmente incisivo di questa autrice.

Amélie Nothomb è una vera icona vivente. La sua immagine pubblica, le sue bizzarre abitudini, la scrittura come salvezza e come àncora che trattiene in una condizione terrena, inequivocabilmente corporea e per questo ben meno aulica di ciò che ci si aspetta. La sua autoreferenzialità, discutibile attitudine che tuttavia finisce per incantare. La capacità di fare della sua vita un romanzo. E come la sua biografia sia stata per lei lo spunto per fare letteratura. L’inclinazione a mettersi in mostra, sapendo che ciò che racconta di sé interessa e interesserà il lettore al punto di renderlo succube delle sue scelte e dei suoi ricordi.

Ne L’impossibile ritorno Amélie Nothomb parla del suo viaggio in Giappone insieme all’amica e fotografa Pep Beni. Il Giappone è il luogo della sua infanzia, lasciato dolorosamente all’età di cinque anni, primo dei suoi numerosi pellegrinaggi al seguito del padre diplomatico.

Ed è anche il luogo del suo primo fallimento, esistenziale, amoroso e lavorativo.

Il luogo che conserva l’eco del padre. E che rappresenta per lei la meta ideale della sua esistenza che tuttavia torna a respingerla. Il posto in cui vogliamo essere ma dove non ci è possibile vivere. Una contraddizione che di per sé appare come la parabola dell’esistenza umana, fatta inesorabilmente di intenti che non sappiamo gestire e che preferiamo, per motivi inesplicabili, lasciar sedimentare nell’ambito metafisico della nostalgia. Dell’irrealizzato. Perché niente è più struggente e desiderabile di un sogno impossibile.

Questo tipo di consapevolezza accompagna Amélie nei dieci giorni di permanenza in Giappone. Tenere a bada le svirgolate della nostalgia non le impedisce di lasciar riaffiorare immagini del suo passato. Ma anche di lasciarsi trasportare dalle esigenze di una riscoperta. Un turbine emotivo che culmina nel kensho, la sensazione di un’illuminazione che pervade tutto l’essere fisico e metafisico, una sorta di paradiso zen in cui corpo e mente sono investiti da un’energia sconosciuta, che abolisce il tempo e lo spazio. Una sensazione che Amélie Nothomb ( e anche noi, per fortuna) trova immutata nella lettura (i viaggi sono spazi privilegiati per leggere).

Così, tra templi magnifici, cimiteri dall’atmosfera di edificante e serena rassegnazione, incursioni alcoliche in locali bui e affascinanti, bagni pubblici in cui lavare ogni particella di se stessi e bollire fino a sfiorare la sincope, Amélie compie il suo viaggio e si prepara al ritorno a casa.

Quel ritorno per il quale sente non aver alcun talento, il suo impossibile ritorno, appunto.

Un talento che non ha saputo beneficiare dell’enorme esperienza che l’autrice ha accumulato nella sua vita di esule perpetuo. Anche il viaggio, in fondo, rimane fine a se stesso, che ogni volta si illude di apportare un cambiamento alla vita di chi ha intrapreso per poi finire per essere inghiottito dalla routine.

Per questo esiste la nostalgia, ci insegna Nothomb. Perché esprime un fallimento, la perdita dell’occasione di beneficiare di ciò che il viaggio ci ha donato, destinato a rimanere una fugace meteora in un cielo fermo e buio.

E così è il Giappone per Amélie Nothomb. Un luogo desiderato, colmo delle immagini più edificanti. Ma anche il posto in cui è impossibile tornare ed è impossibile vivere. E questo non è che l’essenza del desiderio umano. Esiste perché è etereo, inafferrabile. Impossibile, appunto.

Per chi non ha mai letto Amélie Nothomb consiglio di leggere, prima di questo suo ultimo lavoro, i suoi romanzi che sono più spiccatamente autobiografici (per dirne alcuni Sabotaggio d’amore, Stupore e tremori, Biografia della fame, Né d Eva né di Adamo, La nostalgia felice, Sete, Primo sangue, Psicopompo) . E’ essenziale, a mio avviso, per acuire al massimo l’esperienza di lettura, entrare nell’universo di vita di questa autrice, in cui vita vissuta e vissuto letterario sono intrecciati e sono l’uno causa ed effetto dell’altro

Leggere Nothomb è un’esperienza molto intima, alla quale trovo giusto prepararsi.

Incontrerete una scrittrice integerrima e precisa, che ha, verso la scrittura, un acuto senso del dovere. Che scrive per penetrare a fondo i misteri e i motivi della sua esistenza, campo di battaglia ove infuriano e lottano strenuamente il desiderio di normalità e l’esaltazione di una vita eccezionale, fuori dalle regole e governata dalla voglia di trovare il posto in cui esistere. Che forse non c’è. O si nasconde bene. Oppure è latente, celato nella giungla di vite facili, senza stupore o esaltazione.

Siamo noi a scegliere, in fondo. Se esistere o vivere.

Nata a Kobe, Giappone, nel 1967 da genitori diplomatici, oggi vive tra Bruxelles e Parigi. 

Scrittrice di culto non solo in Francia – dove ha esordito nel 1992 con Igiene dell’assassino, il romanzo che l’ha subito imposta – pubblica un libro l’anno, scalando a ogni uscita le classifiche di vendita. 

Innumerevoli gli adattamenti cinematografici e teatrali ispirati ai suoi romanzi e i premi letterari vinti, tra cui il Grand Prix du roman de l’Académie Française e il Prix Internet du Livre per Stupore e tremori, il Prix de Flore per Né di Eva né di Adamo, e due volte il Prix du Jury Jean Giono per Le Catilinarie e Causa di forza maggiore.

Sete, uscito in Francia nel 2019, è arrivato secondo al Prix Goncourt dello stesso anno. 

Primo sangue, suo trentesimo romanzo, si è aggiudicato il Prix Renaudot 2021 e il Premio Strega Europeo 2022

L’impossibile ritorno è il suo 33° romanzo.

Tutti i libri di Amélie Nothomb sono pubblicati in Italia da Voland.

Autore

  • Laura Salvadori

    Laura, abito al mare e del mare ho mutuato tutti gli umori. La calma apparente di una giornata di tramontana e il caos schiumoso del libeccio. I libri sono la mia salvezza. L’anfratto senza confini né angoli in cui mi chiudo per respirare. Lavoro in banca perché nessuno è perfetto. Amo la natura e inseguo la bellezza in ogni sua forma. Ho un debole per i gatti e per chi sorride.

    Visualizza tutti gli articoli

ilRecensore.it non usa IA nelle recensioni

X