Phil Stutz e il suo Metodo

I pazienti che intraprendono un percorso di psicoterapia lamentano spesso che, prima di riscontrare un cambiamento nella loro vita, debbano attendere un tempo interminabile. Il Metodo risponde finalmente a questa frustrazione. lllustrando una serie di tecniche semplici e innovative, che permettono di passare all’azione, gli autori offrono la chiave per accedere all’immenso potere delle risorse interiori e trasformare i problemi in opportunità. Grazie a veloci esercizi pratici, si ritrova il coraggio, si supera la paura, si rafforza l’autostima e si diventa più creativi. Nel 2022 l’attore Jonah Hill (The Wolf of Wall Street) ha realizzato un documentario dedicato a Phil Stutz e al suo Metodo, raccogliendo grandi consensi.

Sono incappato su questo libro per una serie di casualità: un cambio di posizione lavorativa, un percorso di coaching legato alla nuova funzione, il suggerimento di uno dei conselor che mi ha condotto al bel documentario che Jonah Hill ha realizzato per Netflix.

Se non fosse stato per questa serie di coincidenze, non mi sarei probabilmente mai accostato al film che, a partire dal titolo e dalla professione del co-protagonista, produttore e regista (quel Jonah Hill candidato al premio Oscar come miglior attore non protagonista per The wolf of Wall Street), farebbero pensare al Metodo di recitazione, come generalmente viene chiamato il metodo Stanislawsky.

In questo caso, però, il metodo utilizzato da mostri sacri come De Niro non c’entra nulla, e neppure deve fuorviare il richiamo ad un altro bel titolo Netflix come Il metodo Kominsky. Il documentario è infatti un vero e proprio atto d’amore che il Jonah Hill paziente dedica al suo terapeuta, Phil Stutz, e al metodo alquanto rivoluzionario che questi ha messo a punto negli anni per tentare di fornire qualche strumento pratico ai pazienti che andavano a sottoporgli i loro problemi.

Personalmente non sono un grande fan dei libri di auto aiuto, dei manuali motivazionali o della filosofia New Age. Tutt’altro. Tuttavia, guardando il documentario, due cose mi hanno colpito. La prima è l’esigenza sincera di Stutz di trovare qualcosa, qualsiasi cosa, da dare in mano a chi si rivolgeva a lui in cerca di una soluzione. Il racconto che fa dei suoi esordi come tirocinante appare autentico e l’elaborazione di alcune pratiche, che definire Metodo è forse persino eccessivo, è la risposta che Stutz trova, lo strumento che fabbrica come risposta all’esigenza di guarire gli altri: i suoi genitori, i suoi pazienti, persino sé stesso, dal dolore di vivere.

La seconda cosa che mi ha colpito è l’affetto, l’amicizia, che lo lega al suo più famoso paziente e qui anche regista. Una amicizia che contro ogni dogmatismo mette la relazione personale tra medico e paziente al centro del percorso terapeutico. Questo, a me, è sembrato piuttosto rivoluzionario e mi ha spinto a comprare il libro NONOSTANTE l’orrendo strillo di copertina da imbonitori di fiera di paese, venditori di olio di serpente e sedicenti esperti di marketing.

Nella sostanza, il Metodo da una parte propone una serie di cinque strumenti pratici che, utilizzando la visualizzazione, promettono di superare alcuni tipici blocchi emotivi, stati di ansia, paura, rabbia, depressione. Dall’altra, tenta di fornire a questi strumenti un contesto patareligioso o filosofico che ne giustifichi il funzionamento. A questo si aggiunge, probabilmente, l’esigenza editoriale di dare letteralmente più polpa (di cellulosa) ad un manuale che, ridotto all’essenziale, mai avrebbe potuto essere proposto nella forma di un libro. Ecco quindi che, grazie anche al co-autore Barry Michaels e ad un copioso numero di aneddoti relativi ai pazienti che nel tempo hanno utilizzato le tecniche descritte, i cinque strumenti del Metodo, che da soli si sarebbero potuti spiegare in una ventina di pagine, arrivano con qualche fatica a superare le 270.

La valutazione, se dovessi considerare l’operazione editoriale, la forma ultra classica del manuale zeppo di esempi di casi di successo, la filosofia spiccia tirata in ballo per fornire una spiegazione e un contesto, le citazioni dalla Bibbia e la copertina da “For Dummies”, sarebbe impietosa.

Tuttavia.

Tuttavia la cosa abbastanza straordinaria è che, a dispetto di tutto ciò e, soprattutto, del mio personale e radicato scetticismo, il Metodo funziona. Funziona alla grande, anzi.

Fatto il doveroso disclaimer che nessun manuale, libro o saggio può sostituirsi alla esperienza di un professionista qualificato (e qui effettivamente si potrebbero aprire universi di discussioni che sarebbe presuntuoso anche solo accennare), la mia personalissima esperienza è che gli strumenti, applicati praticamente, fanno esattamente ciò che promettono, a patto di accettare una non banale premessa. Tre cose sono inevitabili nella vita di ogni essere umano: il dolore, l’incertezza e il lavoro costante.

Come in un racconto di Stephen King, il talismano di plastica trovato come omaggio nelle patatine funziona davvero e adesso, al protagonista, resta la responsabilità di cosa fare di un simile potere. Il Metodo di Phil Stutz funziona NONOSTANTE l’aria pacchiana e il documentario su Netflix. E questa è una cosa indubbiamente affascinante.

Da parte mia non so darmi una spiegazione ma, dato che i risultati ci sono, ne faccio pragmaticamente volentieri a meno. Nemmeno voi, in fondo, vorreste sapere come funziona davvero la magia.

Autore

  • Giovanni

    Scrittore, fotografo, Sales Executive di una delle principali Software House italiane, esperto di informatica, è stato cofondatore del Blog Thrillerlife ed è socio fondatore della associazione culturale IlRecensore.it e della omonima rivista online.

    Visualizza tutti gli articoli