Quando le gru volano a sud: L’autunno della vita è un volo d’uccelli
Sinossi
Bo ha ottantanove anni e la sua solitudine viene interrotta soltanto dalle visite degli assistenti domiciliari che si prendono cura di lui. Per il resto, non c’è molto che abbia sapore. Nemmeno i pasticcini alla panna montata che il figlio Hans si ostina a comprare e mettergli nel frigo. Bo è arrabbiato con il suo corpo che non obbedisce più, con le sue braccia un tempo forti che ora non riescono a fare più nulla, con le sue dita gonfie che non sanno più nemmeno aprire il barattolo che contiene lo scialle preferito di sua moglie Fredrika. Lo scialle che conserva ancora il suo profumo. È l’unica cosa che gli è rimasta di lei, da quando è stata trasferita in una casa di cura a Östersund, da quando Fredrika non riconosce più nessuno e lui non riconosce più la donna dietro i lineamenti di sua moglie.
Ma, soprattutto, Bo è arrabbiato con Hans che vuole portargli via Sixten, il suo cane, perché si è convinto che un quasi novantenne non sia in grado di prendersene cura. E adesso non c’è più Fredrika a addolcire le parole aspre tra padre e figlio. Il vuoto lasciato dalla compagna di una vita e la preoccupazione di perdere l’affetto di Sixten, che ancora lo tiene nel mondo, trascinano Bo in un vortice di emozioni. Lo sospingono a ripercorrere la sua esistenza, a definire felici quei momenti in cui semplicemente non ci accadeva nulla, ad ammettere il suo modo imperfetto di amare gli altri.
Recensione
Un uomo cammina con il suo cane sotto uno stormo di uccelli: il bell’acquerello di Nicola Magrin della copertina ci conduce da subito nell’atmosfera poetica e delicata che permea questo romanzo.
Fin dalle prime pagine di Quando le gru volano a sud siamo infatti accompagnati dentro la casa di Bo, un uomo che trascina le sue giornate in compagnia del suo fedele cane e dei tanti ricordi di vita.
Lo seguiamo attraverso il dialogo che intrattiene con la moglie Fredrika, ormai lontana, sia fisicamente – vive ormai in una struttura per anziani – sia mentalmente – l’unica volta in cui va a trovarla con il figlio, non lo riconoscerà.
C’è tutto lo struggimento di un uomo che non si arrende al trascorrere del tempo e al decadimento del suo corpo. Siamo portati a empatizzare con Bo, con la sua solitudine, con i suoi tentativi di conservare brandelli di autonomia in una vita ormai dipendente dagli altri: “Lancio un’occhiata all’orologio a parete: tra non molto arriverà l’assistente domiciliare per preparare il pranzo. Spero di fare in tempo ad andare in bagno e cambiare mutande e pantaloni. Secondo loro dovrei tenere sempre il pannolone, e io invece me lo tolgo appena se ne vanno. Pensano che lo faccia perché mi dimentico, ma preferisco farmela sotto e cambiarmi che tenermi addosso quella roba”.
Nella rabbia e nella tensione, il personaggio mi ha ricordato il padre di Philip Roth così come ci viene raccontato in “Patrimonio. Una storia vera”: in entrambi i casi troviamo la lotta prometeica e tutta umana contro la fragilità senile e la vergogna di chi fa i conti con un corpo che non risponde più ai comandi.
L’autrice è brava ad ammorbidire i toni attraverso una narrazione che fa leva sulle emozioni, senza indulgere troppo nelle descrizioni più disturbanti.
Lo stile è intimo, malinconico, come il trascolorare delle giornate, dall’estate all’autunno, sullo sfondo dei paesaggi del Nord della Svezia.
All’accorciarsi della luce solare corrisponde il progressivo indebolimento fisico e mentale del protagonista, che raggiunge il culmine quando gli tolgono il cane.
“Mi viene voglia di alzarmi, battere il pugno sul tavolo e dire che faccio come diavolo mi pare. Che sono io il capitano del mio vascello. Invece non lo faccio. Perché non sono un capitano. Sono un fagotto legato su una nave in tempesta”.
La narrazione in prima persona del protagonista si intreccia, vivacizzandone il ritmo, ai messaggi lasciati dagli assistenti domiciliari che si avvicendano nella sua casa: ciascuno di loro ha una propria identità che riusciamo facilmente a ricostruire.
Bo non nasconde la sua simpatia per Ingrid, che, oltre a curarlo amorevolmente, intrattiene con lui i dialoghi più intimi e che pare comprendere meglio di altri le sue ragioni nel non volersi distaccare dal cane. Il figlio Hans invece ha con il padre un rapporto burrascoso: appare deciso e lapidario nell’imporgli le sue ragioni e poco incline a confrontarsi con le altrui posizioni. C’è poi Ture, l’amico di una vita, con il quale si sente ormai solo per telefono e di cui scopriremo alla fine un segreto che aveva tenuto nascosto per pudore.
L’autrice è brava nell’alternare le parti descrittive a quelle dialogiche, usando il tocco lieve e misurato di chi pare dipingere un acquerello: impresa non semplice quando, come in questo caso, si affrontano tematiche delicate quali la vecchiaia, la solitudine, la perdita, il rapporto genitori-figli. A Lisa Ridzén va dunque il merito di aver trovato lo stile e il linguaggio più indicati nel trattare una materia così sensibile.
Titolo: Quando le gru volano a sud
Autrice: Lisa Ridzén
Traduttrice: Laura Cangemi
Editore: Neri Pozza
Genere: narrativa contemporanea, senilità
Autrice

Liza Ridzén vive in un piccolo villaggio vicino a Östersund, in Svezia.
È dottoranda in sociologia e studia l’impatto della mascolinità nelle comunità rurali dell’estremo Nord svedese, dove lei stessa è cresciuta. L’idea per il romanzo è nata dagli appunti che l’équipe di cura di suo nonno ha consegnato alla famiglia.
Quando le gru volano a sud ha dominato le classifiche svedesi, è stato nominato nato Swedish Book of the Year 2024 e si è aggiudicato l’Adlibrispriset, il premio dei lettori, dicato come opera prima e libro dell’anno. È in corso di traduzione in 34 lingue.