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56 GIORNI di Catherine Ryan Howard

56 giorni

Nessuno sapeva che vivevano insieme. Ora uno dei due è morto. Potrebbe essere questo il delitto perfetto? 56 giorni prima Ciara e Oliver si incontrano per la prima volta in un supermercato di Dublino, durante una pausa pranzo come tante; tra loro scatta subito la scintilla e, nel giro di pochi giorni, iniziano a frequentarsi. Nella stessa settimana, il Covid-19 raggiunge le coste irlandesi. 35 giorni prima.

Quando il lockdown minaccia di tenerli separati, Oliver suggerisce di andare a vivere insieme nel suo appartamento. Nonostante si conoscano da poco, Ciara accetta: per lei è l’unico modo di far funzionare la relazione sfuggendo al controllo della famiglia e degli amici. Per Oliver è l’unico modo di nascondere la sua vera identità. Oggi. Nell’appartamento di Oliver viene trovato un cadavere in decomposizione.

Gli investigatori si buttano a capofitto nell’indagine: riusciranno a capire cosa è realmente accaduto, oppure la pandemia ha permesso a qualcuno di commettere il delitto perfetto?

56 Giorni“, un thriller che gioca molto sulle ambiguità e sulle zone d’ombra.

Sono 56 giorni che si dilatano come un’eternità, costringendo due personalità distinte, Ciara e Oliver i protagonisti portatrici di segreti individuali e maschere ben celate, ad un isolamento rivelatore, preludio a un dramma imminente.

Al di là dell’evento scatenante della morte, l’opera si configura primariamente come un intenso dramma psicologico. Il “cosa è successo veramente?” travalica la semplice ricostruzione di un crimine per addentrarsi nelle tortuose dinamiche mentali dei protagonisti.

L’alternanza dei giorni, e il computo totale che supera i 56 canonici per estendersi a 78, non è un mero errore di calcolo. Diventa, al contrario, un espediente narrativo cruciale per svelare gradualmente le motivazioni profonde e le intricate psicologie dei due protagonisti.

Questi salti temporali, così tanto di moda, ma in questo caso specifico necessari e ben articolati, non solo mantengono viva la suspense, ma permettono al lettore di assemblare un mosaico complesso di eventi, rivelando come le azioni presenti siano plasmate da un passato carico di segreti. Sono nodi cruciali che definiscono le loro personalità, influenzano ogni loro interazione e lo scorrere del tempo.

Ma fra i due uno è più scaltro dell’altro.

Questa disparità di “astuzia motivazionale” è un punto chiave. Senza svelare troppo, è evidente come le dinamiche di potere psicologico si spostino sottilmente nel corso della narrazione, suggerendo che la verità non emergerà da una semplice ricostruzione dei fatti, ma da una complessa battaglia di inganni e manipolazioni. 

L’indagine canonica sulla morte passa quindi in secondo piano. L’indagine vera è quella sulle menti e sulle azioni dei due protagonisti.

56 giorni” rifugge deliberatamente dalle dinamiche classiche del thriller con scene madri, una disseminazione di indizi tangibili e una vera e propria caccia all’assassino nel senso tradizionale del termine. La tensione non deriva dall’azione esterna, ma si annida nelle pieghe della psiche e delle storie personali. 

La domanda “Ma l’assassino c’è veramente?” è cruciale. È proprio questa ambiguità, questo spostamento del focus dall’atto delittuoso alle dinamiche personali che lo rende così particolare e, per molti, efficace. L’autrice gioca abilmente con la prospettiva, filtrando gli eventi attraverso le menti di Ciara e Oliver, rendendo il confine tra realtà e paranoia estremamente labile.

Questa è la forza di “56 giorni” in cui il vero mistero non è “chi” ha commesso il fatto ultimo, ma “cosa” sia realmente accaduto e, soprattutto, perché. La morte stessa diviene un elemento ambiguo, sfuggente alla semplice definizione di evento criminoso.

56 giorni” è un romanzo caratterizzato da un notevole minimalismo. Lungi dall’essere una limitazione, questa essenzialità si rivela una scelta stilistica precisa e funzionale alla narrazione.

La trama, pur innescata da un evento potenzialmente eclatante come la morte, si sviluppa in uno spazio ristretto, sia temporale che ambientale. Il lasso di tempo del lockdown, con i suoi giorni scanditi, diviene esso stesso un elemento claustrofobico che amplifica le dinamiche interpersonali. Le ambientazioni dublinesi, pur evocate, non si caricano di descrizioni ridondanti, ma restano funzionali al senso di confinamento e di sospensione della normalità.

Anche la scrittura della Howard riflette questa scelta essenziale. Scevra di orpelli lirici o di descrizioni barocche, si concentra sul sostanziale, sul veicolare il pensiero e le motivazioni dei personaggi con chiarezza e concisione. I dialoghi, spesso brevi e diretti, contribuiscono a questa sensazione di asetticità, quasi di osservazione clinica delle interazioni umane. 

I personaggi stessi, Ciara e Oliver, non vengono caricati di dettagli fisici o biografici superflui. La loro essenza emerge dalle loro azioni, dai loro pensieri e dalle loro reazioni agli eventi. Questa riduzione all’osso permette all’autrice di concentrare l’attenzione del lettore su ciò che realmente conta: le dinamiche psicologiche, le motivazioni sottese ai comportamenti e le reazioni che seguono un rigido schema “causa-effetto”.

I co-protagonisti sono un qualcosa in più.

La figura di Laura Mannix, la vicina di casa di Oliver, lascia un po’ l’amaro in bocca. Un personaggio che emerge come un’ombra, una presenza inquietante che sembra promettere sviluppi significativi. La sua curiosità morbosa nei confronti di Oliver, i tentativi di contatto… tutto lascia presagire un ruolo più incisivo nella trama, magari come elemento di disturbo, potenziale rivelatrice o persino complice.

Invece, la sua presenza si affievolisce gradualmente, come un eco lontano. Le sue azioni non sembrano innescare svolte cruciali nella narrazione principale e il suo destino rimane avvolto in una certa vaghezza. Si ha quasi l’impressione che sia stata introdotta per creare un senso di disagio e sospetto iniziale, ma poi abbandonata.

Idem per i due investigatori, Lee e Karl. Il loro agire appare superficiale, concentrato su scambi di dialoghi a volte fin troppo leggeri per la gravità della situazione. Si ha l’impressione che la loro presenza serva più a scandire il tempo narrativo e a offrire qualche momento di respiro al lettore, anziché a far progredire concretamente l’indagine.

Tuttavia, non c’è nulla di sbagliato in questo romanzo.

56 giorni è una lettura scorrevole e piacevole, una trama ben congegnata con colpi di scena dosati con cura. Il fatto che come “tutto sia ben posizionato” evidenzia l’abilità dell’autrice nel costruire la sua narrazione in modo efficace.

Tuttavia, c’è un qualcosa di indefinito che mi trattiene” e la chiave potrebbe risiedere proprio nella sua struttura. “56 giorni” è un romanzo che si apprezza per la sua finezza psicologica e la sua costruzione narrativa, ma che forse manca di quel “quid” emotivo che trasforma una “bella lettura” in una lettura avvincente.

Nel caso della Howard l’espressione “niente è come sembra” mai fu più azzeccata, neanche la morte inclusa la natura stessa del decesso.

Catherine Ryan Howard - 56 giorni - ilRecensore.it

Catherine Ryan Howard è un’autrice irlandese. Il suo blog è diventato un punto di riferimento per tutti i self-publisher. La sua storia è apparsa su giornali come The Irish Examiner, The Irish Independent e The Sunday Times, ed è stata intervistata da BBC Radio Ulster, RTE Radio 1 e Newstalk (Irlanda).

Nel febbraio 2012 è stata scelta per tenere il primo corso di self-publishing presso la Faber & Faber’s Faber Academy di Bloomsbury, a Londra, dove continua a essere docente ospite.

Nel 2025 Fazi pubblica in Italia 56 giorni, vincitore del Crime Fiction Book of the Year agli Irish Book Awards.

Autore

  • Nico

    Socia fondatrice della rivista Il Recensore.it, LA NEMESI nella redazione di IlRecensore.it è un po' il cane sciolto. La parte cattiva e sarcastica, se vogliamo dirla tutta. Non tollera gli scopiazzatori letterari! Oltre ai libri, tra le sue passioni, ci sono i ferri circolari.

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