Turbolenza di Szalay inaugura la nostra nuova rubrica: letture che parlano, pensieri che viaggiano
Dialogo liberamente ispirato a “Turbolenza” di David Szalay
Luogo
aeroporto internazionale – lounge elegante, luci soffuse, bicchieri lucidi, un volo in ritardo.
(Si sentono voci lontane, annunci di gate e partenze. In sottofondo, il tintinnio del ghiaccio in due bicchieri appena serviti.)
PATTY (osservando l’orologio, poi il cocktail):
Il nostro volo è ancora in ritardo. Ma almeno il tempo per parlare di Turbolenza ce lo siamo conquistato. Dimmi, allora, la tua.
LUCA Io l’ho sentito, questo libro. L’ho sentito come si sente una turbolenza improvvisa: non la vedi arrivare, ma quando arriva, ti scuote dentro. È tutto un incrocio di vite che si sfiorano, Patty. Si sfiorano… ma si legano. Invisibilmente.
PATTY
Sono dodici racconti, Luca. Dodici. Strutturalmente compatti, formalmente semplici. Una narrazione che sembra piatta, ma in realtà è sottovuoto. Depressurizzata. E proprio per questo… destabilizzante.

LUCA: Semplici? No, no. Sottopelle, ci sono crateri. Tu lo senti, vero? Quella madre – no, quella nonna – che va a trovare il nipote. E quando la figlia le dice è cieco, lei… scappa.
Scappa. Non per mancanza d’amore, ma per inadeguatezza.
PATTY Una umanità così normale da diventare spietata. Mi sono messa nei suoi panni. Lì, all’apice della gioia, diventa tragedia. Non c’è lieto fine. C’è verità.
“Era uno di quegli avvenimenti, pensò, che fanno di noi ciò che siamo, per noi stessi e per gli altri. Cose che sembrano succedere così, senza motivo, e invece poi restano lì per sempre e a poco a poco ci accorgiamo che ci hanno segnati, che niente sarà più come prima.”
LUCA Boom. Quella frase… mi ha spaccato. Perché lo capisci, no? Che tutto torna. Il libro parte da Londra… e a Londra finisce. È un cerchio. Un volo circolare.
PATTY: Ma vedi, è proprio qui che Turbolenza ti frega. Il primo impatto è distante, quasi freddo. Ma poi… rileggerlo è come guardare la stessa tempesta da un’altra finestra.
(ARRIVA IL CAMERIERE)
Cameriere: “Hummus di ceci, battuta di Fassona, canestrelli di Triora e olive taggiasche.”
LUCA: Ma grazie, grazie mille. Hai idea che poesia è questa roba? In un aeroporto ti portano i canestrelli di Triora. E la Fassona. Patty, io… piango.
PATTY (scattando una foto instagrammabile):
Il cameriere non lo sa, ma finirà nell’articolo anche lui. A turbolenze e tartare, cin cin.
LUCA Cin cin. …
Szalay è chirurgico. Ma non freddo. Come quando il partner occasionale della giornalista, quello che pilota un cargo, le dice che preferisce trasportare merci. Perché rendono di più.
E noi? Anche noi ci stiamo abituando a pesare gli esseri umani al chilo?

PATTY Forse ci difendiamo. È più semplice amare un oggetto. Non ti chiede niente. Non ti muore davanti.
LUCA: Tremenda quella frase…
“Le merci rendono di più”, dice lui.
PATTY: Eccola lì. Una delle frasi chiave. Le merci che valgono più della vita. È una società che ha sbilanciato il baricentro dell’umano.
LUCA: Eppure, anche quel tipo… era fragile, era vero. Non era un cinico. Era solo uno che stava cercando di stare a galla.
PATTY: Come tutti, in fondo. Vite che si incrociano per un istante e poi si disperdono.
LUCA: Due solitudini che si accarezzano per non ferirsi troppo. E le app di incontri? Lì ho sentito tutta la solitudine contemporanea. Ci si cerca… ma solo in superficie.
PATTY: Esatto. Nessun coinvolgimento, nessuna vera apertura. Solo sfioramenti. Siamo diventati superfici scivolose.
LUCA: Mi ha colpito anche la donna giapponese, o cinese, non ricordo…
il marito le dice: Fai quello che devi. Poi scegli.
Un distacco… assurdo.
PATTY E lei che si convince che anche con l’amante, il finale sarà lo stesso. Così, tanto vale restare con il marito.
LUCA E lì la resilienza è maschile, per una volta. Mi ha ricordato Stoner. La persona che sopporta, che resta. Ma quante donne forti ci sono in questo libro? Anche quella pakistana, o indiana, picchiata dal marito. Quando scopri che la “vita parallela” che lui ha costruito… non è quella che ti aspetti.
Ti spiazza. Come la vita vera.
PATTY: E poi ci sono i razzismi impliciti. L’anziana inglese nel primo racconto… giudica l’uomo di colore accanto a lei. Ma poi lei viene portata via in barella grazie all’aiuto tempestivo dell’uomo con cui non sapeva approcciarsi.
Ironia sottile, ma affilata.
LUCA La scrittura di Turbolenza è semplice, ma il mondo sotto è complesso.
Un mondo fatto di malattie, di tradimenti, di legami che durano il tempo di un volo.
PATTY: Le tematiche sono tutte lì. Ho fatto un elenco, senti:
malattia e morte, solitudine, paura, amore, avidità, genitorialità, inadeguatezza, indifferenza… e l’eterno ritorno. C’è tutto in poche pagine.
LUCA: E il viaggio, Patty. Il viaggio.
Quello vero, e quello dell’anima.
Ogni aeroporto è un punto di partenza. Ma nessuno ti garantisce l’arrivo.
PATTY “Perché in ultima analisi ciò che ci unisce è che abitiamo tutti questo piccolo pianeta, respiriamo tutti la stessa aria, abbiamo tutti a cuore il futuro dei nostri figli. E siamo tutti mortali.”
(PAUSA. SI SENTONO DI NUOVO ANNUNCI DI VOLO. LA LUCE CAMBIA TONO. UN’HOSTESS PASSA ACCANTO.)

LUCA: Sai, c’è stato un tempo in cui i voli dal Golfo all’Europa passavano sopra l’Iraq e la Siria…
Adesso evitano quei cieli.
Anche noi, spesso, evitiamo i nostri.
PATTY E invece Szalay ci costringe a volarci dentro. In piena turbolenza.
Chissà se arriveremo a destinazione.
LUCA: Szalay è affilato. Riesce a mantenere comunque un certo limite tra la storia e quello che ti vuole dire dietro… cioè rimane sempre lì, su quel confine.
PATTY: È come se certi scrittori un po’ ti sfidassero. E io lo trovo bellissimo. Uno scrittore che sfida il lettore è uno scrittore che ha stima del lettore. Presuppone che il lettore sia intelligente, che sappia leggere tra le righe. E già questo ti gratifica, perché è ovvio… E poi ti lascia uno spazio. Quello spazio vuoto, le pause, le cose dette sottotraccia. Se invece uno scrittore ti racconta tutto, come se tu fossi incapace di arrivarci da solo… beh, lì mi infastidisce.
LUCA: Vero. Szalay parla a un certo tipo di lettore. E non è affatto semplice scrivere così. È come con Michael Bible, no? Anche lui lo leggi e dici “ah, che stile semplice!”, e invece c’è una complessità sotto. Sono letture che sembrano facili ma non lo sono.
PATTY: Assolutamente. Ma ti devono anche piacere. O sei un po’ cervellotico, probabilmente come noi due, oppure dici: “che roba è questa? ” Io non riesco, proprio non ce la faccio con quella narrativa lì. I libri li leggo per farmi qualcosa.
LUCA: A me devono devastare. Un po’, almeno. Se non mi devastano, io chiudo e vado a bere. Altri invece vogliono solo passare qualche ora leggera, felice. Ma per me leggere è un po’ come diceva Tenco, no? Quando gli chiedevano: “Perché scrivi solo canzoni tristi?” E lui rispondeva: “Perché quando sono felice, esco”.
PATTY: Ognuno cerca qualcosa di diverso. Trovare il “tuo” libro è una fortuna, non capita spesso. A me se un libro non è disturbante, se non mi smuove dentro, io mi annoio. Mi devono scuotere, o devono essere così stratificate da farti pensare alla vita, al tempo, a tutto.
LUCA: Ognuno cerca una parte di se stesso nella lettura. Io ho sempre cercato qualcosa che mi riempisse le ferite o che mi desse le parole per raccontarle. O che mi sconvolgesse.
Turbolenza non è solo un titolo. È un’esperienza.
— Un volo in ritardo, due lettori in attesa, e un libro che non smette di far pensare.
Sipario.