L'EREDE DI CAMILLA STEN
L'EREDE DI CAMILLA STEN

L’EREDE di Camilla Sten

L’erede

Verità inconfessabili sepolte nel tempo. Una storia familiare disseminata di segreti. E una casa che non li lascerà mai andare. Eleanor convive con la prosopagnosia, l’incapacità di riconoscere i volti delle persone. Un disturbo che causa stress, ansia acuta, e può farti dubitare di ciò che pensi d sapere. Una sera la ragazza si reca a casa della nonna Vivianne per la consueta cena domenicale. Ad accoglierla sull’uscio non trova però la nonna, ma una persona cui non riesce a dare un nome, che scappa via per le scale. Dentro casa, la nonna è distesa sul tappeto accanto a un paio di forbici con le lame spalancate.

Nella stanza, odore di ferro e carne. La nonna, quella nonna che l’ha cresciuta come una madre, è stata uccisa. Passano i giorni, e l’orrore di essersi avvicinata così tanto a un assassino – e di non sapere se tornerà – inizia a prendere il sopravvento su Eleanor, ostacolando la sua percezione della realtà. Finché non arriva la telefonata di un avvocato: Vivianne le ha lasciato in eredità una tenuta imponente nascosta tra i boschi svedesi.

È la casa in cui suo nonno è morto all’improvviso; un posto remoto, che da oltre cinquant’anni custodisce un passato oscuro. Eleanor, il mite fidanzato Sebastian, la sfrontata zia Veronika e l’avvocato vi si recano in cerca di risposte. Tuttavia, man mano che si avvicinano alla scoperta della verità, inizieranno a desiderare di non aver mai disturbato la quiete di quel luogo. Chi era davvero Vivianne? Quali segreti si è portata nella tomba? I segreti non muoiono, mi sussurra Vivianne nella mia testa. Nulla veramente muore, Victoria. Io sono ancora qui. O no?

Niente di nuovo sul fronte…” nordico (rielaborazione del titolo del romanzo di Remarque) è un’espressione che ben si adatta a commentare “L’erede” di Camilla Sten, ponendo l’attenzione sul fatto che il romanzo non introduce elementi particolarmente innovativi o sorprendenti nel panorama del thriller a sfondo psicologico. Questo è un genere molto frequentato e autori come Thilliez e Fitzek hanno contribuito a definirne i canoni con opere di grande impatto.

Questo è il punto centrale. 

L’erede” ripropone dinamiche narrative e temi ampiamente esplorati, ambientazioni isolate e inquietanti, segreti familiari e traumi del passato, personaggi tormentati da conflitti interiori, atmosfera cupa e claustrofobica.

Tuttavia, Camilla Sten dimostra, con “L’erede“, una notevole capacità di scrittura, mantenendo alta la tensione narrativa con un ritmo incalzante. La sua prosa è efficace e diretta, scevra da inutili orpelli che appesantiscono la trama, ad eccezione di qualche digressione introspettiva che, pur offrendo uno spaccato psicologico dei personaggi, a volte può risultare eccessiva.

Un punto di forza dello stile di Sten è la sua abilità nel descrivere le scene in modo vivido e coinvolgente. Attraverso dettagli precisi e suggestivi, riesce a rendere il lettore partecipe degli eventi, creando un clima di suspense e inquietudine che permea l’intera narrazione. Il tutto contribuisce a creare un’esperienza di lettura immersiva.

Ma per Camilla Sten la strada è in salita, dovendosi confrontare con maestri indiscutibili. La sfida è duplice: da un lato, onorare la tradizione del genere; dall’altro, trovare una voce propria e offrire qualcosa di nuovo.

Detto questo, mi chiedo…

È possibile, partendo da una base apparentemente convenzionale – omicidio, eredità, maniero e un ristretto numero di sospettati – creare qualcosa di originale e avvincente? 

La risposta è, con le dovute accortezze, FORSE!

Un’analisi tra debolezze narrative e spunti interessanti

Un omicidio può essere il catalizzatore che innesca un processo di disvelamento interiore, portando alla luce dinamiche complesse e relazioni tossiche. 

Il maniero, a Solhoga vicino Stoccolma, non è qui un semplice sfondo, ma un luogo che influenza la narrazione, con la sua storia, i suoi angoli nascosti, la sua atmosfera inquietante, isolato, in mezzo a un bosco. Può diventare uno specchio delle psiche dei personaggi, amplificandone le paure e le ossessioni. La dimora è legata a un oscuro evento del passato, che continua a influenzare il presente.

L’eredità non è una questione di denaro, ma un pesante fardello di segreti familiari che i quattro ospiti si trovano a dover affrontare. 

Uno degli ospiti è affetto da una patologia mentale, che mettono in discussione la sua affidabilità. 

Sono tutti elementi “apparentemente” convenzionali che potrebbero essere trasformati in potenti strumenti narrativi.

Con questi ingredienti, che non garantiscono la novità, la Sten riesce comunque a far emergere i suoi attori più che la storia. Per tessere una trama originale, utilizzando tòpoi consolidati, è necessario saper immaginare.

La trama si sviluppa con ritmo, alternando momenti di tensione psicologica a colpi di scena. In questo la Sten dimostra una buona capacità di gestione della suspense, dosando le rivelazioni e mantenendo alta la curiosità fino alla conclusione.

Tuttavia, non mancano alcuni aspetti meno convincenti. 

L’utilizzo della patologia 

Prosopagnosia. Significa che il mio cervello non registra i volti umani come accade alle altre persone. Non riconosco le facce, quindi devo memorizzare altri segni distintivi

Eleanor convive con la prosopagnosia, una condizione che la rende incapace di riconoscere i volti. Questa difficoltà, che la “debilita” nel senso che la mette a disagio nelle interazioni sociali e le crea notevoli ostacoli nella vita quotidiana, è di origine sconosciuta. La sua storia personale, accennata solo brevemente, non fornisce spiegazioni chiare sull’insorgenza della patologia, né chiarisce del tutto il suo trascorso ospedaliero, periodo che Eleanor ricorda sovente.

Gli altri personaggi sono in-sufficientemente caratterizzati. Perché?

Veronika, la zia di Eleanor, donna apparentemente fredda, austera, capricciosa, con il suo caschetto nero sempre perfetto, che incornicia un “viso lungo e magro”. Una descrizione accattivante, come lo è lei. Degna della famiglia cui appartiene, tuttavia è una presenza sfuggente.

Vandela, madre di Eleanor, di lei sappiamo poco e nulla, forse perché morta in giovane età, ma qualcosa avrà pur fatto.

Vivianne, il deus ex machina perfetto, una figura potente e ambigua. Dipinta come una donna cattiva, bellissima e dotata di un magnetismo adorabile, risulta uno degli elementi più riusciti del romanzo. Tuttavia, proprio la sua descrizione rischia di renderla una figura un po’ stereotipata (un esempio: indossava “Sempre Chanel n° 5. Profuma di lusso proprio NO), privandola di quella complessità che avrebbe potuto renderla ancora più interessante. Nonostante ciò, la sua presenza scenica è innegabile. 

Lei era semplicemente Vivianne, non aveva età

“Poi faceva quella risatina sonora che ricordava il tintinnio di due bicchieri che si toccano che si toccano per un brindisi …

Poi c’è Kicki, alias la bambina invisibile.

Evert (marito di Vivianne). È il ritratto di un “pover’uomo innamorato”, appare come una figura passiva, succube di Vivianne. 

Qui tutto si concentra sulle figure femminili, relegando i personaggi maschili a ruoli secondari e poco incisivi.

Il fulcro narrativo è indubbiamente il mistero che circonda la morte di Vivianne, e l’autrice opta per un’analisi focalizzata sul presente e sul passato prossimo. Ciononostante, una più approfondita conoscenza del contesto familiare delle protagoniste avrebbe consentito al lettore di cogliere più pienamente le loro reazioni e le loro motivazioni.

È proprio lì l’origine…”. Le dinamiche familiari, i traumi ereditati, i segreti nascosti tra le generazioni, che sono la chiave per risolvere enigmi del presente. Approfondire il passato delle protagoniste avrebbe potuto offrire connessioni inaspettate e nuovi spunti di riflessione. Mi verrebbe da dire Poirot docet!!

Il diario di Anushka, una storia nella storia. La vicenda di questa donna, intensa e coinvolgente, offre uno spaccato di un passato doloroso e ricco di sfumature emotive. Tuttavia, l’utilizzo di questo espediente narrativo richiama alla mente altre opere letterarie. Questo non significa che il suo utilizzo sia di per sé inefficace, ma sottolinea come l’assenza di una rielaborazione originale lo renda un elemento già visto, depotenziando l’effetto sorpresa e la capacità di innovare la narrazione

Il romanzo si legge comunque con interesse, ma lascia nel lettore la sensazione di un’occasione mancata. 

L’atto conclusivo de “L’erede” si manifesta con un impeto che, pur nella sua assertività, non riesce a colpirmi.

C’è una mancanza di rifinitura che incrina la piena riuscita dell’effetto drammatico. Si avverte la mancanza di alcuni passaggi narrativi, di brevi accenni che avrebbero potuto conferire maggiore coesione all’insieme. Non si tratta di appesantire la narrazione con spiegazioni didascaliche o prolisse, bensì di seminare indizi sottili, di sussurrare tra le righe dettagli che avrebbero arricchito il quadro senza compromettere la sorpresa finale.

L’assenza di questi elementi “sussurrati” crea una sorta di vuoto narrativo, una lacuna che impedisce al colpo di scena di dispiegare appieno la sua potenza. L’effetto sorpresa, pur presente, risulta in parte smorzato da questa sensazione di incompletezza, come se mancasse un tassello fondamentale per completare il mosaico. 

E concludo…

L’erede” di Camilla Sten si presenta comunque come un thriller ben confezionato, che intrattiene il lettore. 

In un genere dominato da figure iconiche che hanno saputo innovare e lasciare un segno indelebile, “L’erede” fatica a trovare una sua voce distintiva. Per competere con i grandi maestri, è necessario osare di più, spingersi oltre i confini dell’immaginario convenzionale e offrire al lettore qualcosa di veramente nuovo e sorprendente.

Nonostante queste considerazioni, è importante sottolineare che “L’erede” rimane una lettura valida e godibile. La capacità della Sten di creare tensione e di costruire una trama avvincente è innegabile. Il romanzo si presta perfettamente a un pubblico alla ricerca di un thriller ben scritto e capace di tenere compagnia per qualche ora.

Semplicemente, non si tratta di un’opera destinata a rivoluzionare il genere o a lasciare un’impronta duratura nella memoria del lettore. È un buon libro, non eccellente, che conferma il talento della Sten come autrice di thriller, ma che al contempo evidenzia la necessità di un ulteriore passo avanti e confrontarsi alla pari con i giganti del genere.

Come si dice a scuola “Ti sei impegnato ma potevi fare di più”

Io lettore vorrei di più, perché la base è solida.

E comunque COMPLIMENTI, è una buona lettura, non me ne voglia l’autrice, ma io sono una lettrice molto esigente.

Camilla Sten è un’autrice svedese. Nata nel 1992, e` la figlia della famosa scrittrice di gialli Viveca Sten. Scrive storie fin da quando era ragazzina. Il villaggio perduto e` il suo primo romanzo per adulti, pubblicato in Italia da Fazi nel 2024.

Autore

  • Nico

    Socia fondatrice della rivista Il Recensore.it, LA NEMESI nella redazione di IlRecensore.it è un po' il cane sciolto. La parte cattiva e sarcastica, se vogliamo dirla tutta. Non tollera gli scopiazzatori letterari! Oltre ai libri, tra le sue passioni, ci sono i ferri circolari.

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