Torino ha il profumo della carta stampata, in questi giorni. È l’odore dolce e polveroso di migliaia di pagine che si sfogliano, si cercano, si desiderano.
Il Salone Internazionale del Libro è tornato, ed è sempre più vivo, immenso, affollato di storie e di passi. Tanti, tantissimi passi.

Camminare tra i padiglioni del Lingotto è come attraversare una città parallela, dove le voci si mischiano ai pensieri, e gli occhi si stancano per l’eccesso di meraviglia. Ogni stand è una finestra aperta su un mondo diverso. Ogni corridoio un viaggio. Si cammina tanto, forse troppo, con le gambe stanche ma il cuore pieno.
È una fatica dolce, quella che si prova qui: quella che nasce dalla gioia di esserci, dalla curiosità che non si spegne. Si corre da una presentazione a un firmacopie, da un panel a un incontro fugace con un autore che, fino a ieri, viveva solo tra le righe di un libro.
Ed è lì che accade la magia: quando scopri che chi scrive le storie che ami è reale, tangibile, umano.
Succede, per esempio, quando ti trovi davanti a Valérie Perrin, con gli occhi lucidi, mentre presenta il suo nuovo romanzo Tatà. Un momento che non si dimentica. Le sue parole sembrano carezzarti, mentre racconta l’intimità delle sue pagine con la semplicità di chi non sa quanto bene fa, a chi ascolta.

O quando, poco dopo, sei tra i pochissimi a stringere tra le mani in anteprima il nuovo romanzo di Roberta Recchia: Io che ti ho voluto così bene. Un lancio silenzioso e potente. Un piccolo privilegio che scava dentro e si porta dietro un’emozione difficile da contenere. Ma, quella, è un’altra storia. Forse.
Tra le luci del Salone c’è spazio anche per un pizzico di Sud. Incontrare Maurizio De Giovanni – il papà dei Bastardi di Pizzofalcone, del commissario Ricciardi, di Mina Settembre – è come sedersi al tavolo con Napoli. Parla come scrive: con passione, verità, malinconia. E ti ricorda che i personaggi non sono solo invenzioni, ma creature che restano con te, anche dopo l’ultima pagina.
Ma il Salone non è solo parole scritte. È serate che si accendono tra cene, brindisi e feste improvvisate. È conoscere, chiacchierare, sognare. È sentirsi parte di qualcosa di grande, che va oltre la copertina di un libro.
Quando il sipario cala e il Lingotto si svuota, resta dentro una fame nuova. Non di pagine – quelle le hai già divorate – ma di futuro. Di quella luce che, se la guardi bene, arriva da dentro.

E allora capisci che il Salone del Libro non è solo un evento. È una spinta. È un’ancora e un trampolino. Ti ricorda perché scrivi, perché leggi, perché scegli ogni giorno di credere nelle storie. Perché, in fondo, anche la tua sta solo aspettando di essere raccontata.












