La Carne di Cristò

La carne

Nel mondo come era quando avevo otto anni tutti morivano, chi prima e chi dopo. Adesso nessuno è sicuro neanche di questo”.
Un medico si confronta con strani fenomeni mentre sua moglie sogna una voce.
Un uomo anziano racconta il mondo com’era, ma soprattutto come è diventato: la stasi, l’immobilità, un evento che ha bloccato e sospeso ogni cosa, anche la separazione tra vita e morte.
Per strada si aggirano persone in cerca di carne. Non sono aggressivi, pericolosi, vanno avanti per inerzia e si mettono in fila per il cibo. Ognuno ha un parente passato dall’altra parte. Nessuno sa se sono contagiosi. Nel dubbio, bisogna evitare di toccarli. E mentre i sani si organizzano, l’uomo ricorda, la storia si ripiega su se stessa, alla ricerca dell’inizio o verso nuove direzioni da seguire.

“La Carne ha emozionato, commosso e meravigliato, con la sua enorme bellezza, un essere umano; e questo è, in fondo, tutto quello che voglio dire” (Paolo Zardi)

UN MONDO DISTOPICO MA IDENTICO AL NOSTRO. TUTTO SEMBRA ESSERSI CONGELATO NEL TEMPO E NELLO SPAZIO. SONO SETTANT’ANNI CHE TUTTO SI RIPETE UGUALE E ALL’APPARENZA IMMUTABILE.

CI SONO GLI ZOMBI CHE POI FORSE ZOMBI NON SONO. È UN VORTICE DI EMOZIONI E RICORDI, DI REALTÀ E IMMAGINAZIONE “LA CARNE” DI CRISTÒ.

UNA STORIA CHE TRASUDA UMANITÀ DA OGNI PAROLA IN UN ALTERNARSI DI RASSEGNAZIONE E SPERANZA.

La Carne” è un romanzo peculiare che da subito mostra al lettore la sua originalità e la propria forza espressiva.

Siamo di fronte ad una storia che si dispiega lungo due filoni narrativi che finiscono per convergere in un gioco di piani di realtà. Sta al lettore trovare la propria personale chiave di lettura di quanto accade e di quanto viene narrato in queste due dimensioni del racconto.

Il protagonista è un anziano signore di 80 anni. Non conosciamo il suo nome ma scopriamo di lui molte cose attraverso la sua voce narrante. Ci prende per mano come un nonno e inizia a ricordare com’era il mondo quando aveva otto anni, prima che tutto cambiasse per sempre e si congelasse nel tempo. Ma ci mostra anche com’è il mondo ora, o meglio com’è stato negli ultimi settant’anni e come sarà in futuro. Perché quello che piomba immediatamente addosso al lettore è un senso di stasi senza possibilità di soluzione.

Tutto sembra destinato a ripetersi ciclicamente e senza possibilità di cambiamento. Che poi lui è fortunato perché può ricordare, ma le generazioni dopo no, non hanno questo privilegio o questa condanna, a seconda di come la si guarda. A volte l’ignoranza può non essere totalmente un male, può proteggere da un male peggiore. Vivere nel ricordo e nel paragone costante è logorante.

Ci ritroviamo così in un paese come ce ne sono tanti, in una casa come ce ne sono tante e dentro una vita che può essere benissimo molte altre vite. Questo è spaventoso in modo sottile e viscerale.

Perché ormai quello che conta è non finire in fila, non finire tra coloro che passano le giornate ai depositi comunali aspettando un pezzo di carne. L’importante è non diventare uno di “loro” anche se tutti hanno qualcuno che ormai è come “loro”, qualcuno che ormai vive nella fila, ne è cellula pulsante.

Qualcuno che non muore ma non vive nemmeno, costretto a un ciclo perpetuo di file e file e file. Quando una persona non torna più a casa può esserci un solo motivo. 

Ma chi sono questi individui e perché il loro unico pensiero è mangiare, mangiare, mangiare e soprattutto mangiare carne? Perché non sembrano invecchiare né morire? E dove vanno a finire? Sono malati? Sono contagiosi? È solo una farsa? 

Solo leggendo si svela l’arcano o meglio il suo riflesso che attraversa lo spazio e il tempo e chiede al lettore di sospendere il giudizio e di credere a ciò che legge senza riserve. Perché ciò che Cristò scrive è una favola surreale e cupa che scava dentro il lettore portando fuori quello che sono le reali paure dell’uomo: la solitudine, la vecchiaia fatta di dolori e mancata indipendenza, i traumi che se non vengono elaborati diventano una condanna a non vivere davvero, la paura che l’evoluzione si fermi e condanni all’immobilità totale, il terrore che gli anni migliori siano passati senza che ce ne siamo resi conto.

Il tutto però avviene molto lentamente, con quella lentezza tipica dell’anzianità che sembra dilatare il tempo in modo infinito.

Pagina dopo pagina conosciamo il protagonista, le sue abitudini, il suo desiderio di morire perché vivere per sempre è essere destinati alla più miserevole spersonalizzazione. Lo vediamo nella sua routine, con i suoi hobby peculiari: le visite al cinema porno dove può fumare le sue sigarette, la rassegna della sua “collezione” messa insieme negli anni e simbolo di una vita vissuta tramite infinite proiezioni di sé stessi. A volte gli zombi sono i vivi quando non vogliono uscire dalla zona di comfort e affrontare i rischi che la vita comporta.

Scopriamo anche che il nostro protagonista ha vissuto da bambino una “perdita” che lo ha condizionato per sempre e lo ha reso nel suo sentire meno, diverso, anche se non lo dice mai apertamente ma lo si può cogliere da un’infinità di indizi sparsi tra le righe e da alcuni pensieri e comportamenti. Connesse ad essa delle descrizioni che non consiglierei ai deboli di stomaco ma che hanno una poesia unica, davvero bellissime per gli amanti di letture forti.

Grazie al nostro narratore scopriamo sempre di più di questi zombi che quasi nessuno chiama zombi per rispetto, per timore di finire così, perché in fondo sono solo schiavi di un bisogno che trascende il singolo individuo e lo rende un automa senza anima, senza vita e senza morte. Parte di un tutto che vibra e si muove all’unisono.

Ad affiancarlo ci sono Monica, che si occupa di lavarlo e accudirlo e il nipote Giulio. Non ci sono altri protagonisti se non comparse che hanno il peso dei segni lasciati dai bambini sui vetri appannati: lentamente scompaiono.

Mentre Monica e Giulio sono delle sfaccettature di una stessa pietra osservata da angolazioni diverse. Nel loro essere diversi e uguali si nascondono informazioni e chiavi di lettura sui rapporti umani e sulle umane debolezze e paure.

Ma ci sono anche il medico Tancredi con i suoi strani pazienti, sua moglie Lucia e il loro gatto Moebius, simbolo di un universo altro, di vite possibili e negate.

Una voce narrante che si scontra con il narratore e a esso sembra sovrapporsi come due rette che spezzano le leggi matematiche per incontrarsi e quando i piani collidono la realtà cambia improvvisamente è irrimediabilmente. Sta al lettore decidere che valore dare a ciò che ha letto.

La Carne”, come sottolinea Paolo Zardi nella sua bellissima postfazione, è un libro che non c’era, un libro nuovo, inedito e sperimentale. Un libro coraggioso, di rottura.

Cristò gioca con la storia, con la trama, con le parole. Fa dello stile un’arma dall’impatto devastante. Perché a rendere orrorifico questo romanzo non sono gli zombi, che se ne stanno lì pacifici e beati ad aspettare la carne, no. L’elemento squisitamente weird è l’alternarsi di passato, presente e immaginazione: tre piani che si mescolano senza preavviso. Il lettore si ritrova a viaggiare da un piano all’altro senza potersi preparare e questo destabilizza ma catalizza l’attenzione allo stesso tempo.

A rendere terrificante la lettura è un senso di inquietudine legato alla vita umana, alla vita vera. Ciò che rende il romanzo spaventoso non sono tanto alcune scene squisitamente che definirei “light gore” per gli habitué, ma il suo essere metafora della società attuale.

Gli zombi in fila per la carne siamo noi in fila per l’ultimo modello di telefonino, di scarpe o del gadget all’ultima moda. Siamo noi schiavi della tecnologia e dei social che plasmano la mente collettiva sociale e nel romanzo troverete dei bellissimi riferimenti filosofici ad Averroé e alle sue teorie ma rese in modo del tutto inedito e che vi farà dire ma cosa sto leggendo.

Gli zombi siamo noi ormai schiavi di una vita frenetica che ci vuole incasellati in una determinata tipologia di esistenza, che ci impone determinati bisogni prestabiliti e preconfezionati. Siamo noi nel nostro essere pecore che cercano l’accettazione del gruppo.

La poesia di “La Carne” è tutta qui. In questo alternarsi di mondo com’era e com’è nel momento in cui l’evoluzione smette di esistere. Nel momento in cui tutto rimane sempre uguale a se stesso. Immaginate se negli ultimi cinquant’anni i televisori non fossero mai cambiati di una valvola, se il telefono fosse sempre quello a rotella delle nostre nonne.

Immaginate una vita nella più totale immobilità evolutiva. Gli anni passano identici a se stessi.

Ma “La Carne” è anche un romanzo di rottura delle catene e degli schemi e che ci dice che in fondo non è mai troppo tardi per cambiare e aprire gli occhi.

Ce lo dimostra il protagonista il giorno in cui compie 81 anni. Un giorno di catarsi ed evoluzione che vale una vita intera. Quando accettiamo il rischio, quando accettiamo di cambiare dentro allora sì che iniziamo a vivere davvero.

Lo stile di Cristò è nervoso, scattante, ripetitivo. Le frasi sono frammentate, dirette e senza fronzoli inutili. Ma piene di ripetizioni, quelle ripetizioni che il protagonista ci ricorda essere tipiche dei vecchi come li chiama lui.

E “il mondo come quando avevo otto anni” diventa un mantra da ripete ancora e ancora senza posa. Diventa l’indicatore di quando la vita si è fermata, di quando anche un non zombie ha smesso di vivere, anche se in realtà per il protagonista tutto si cristallizza davvero quando ha dieci anni e il suo essere viene mutilato.

La ridondanza è vincente perché dà in modo paradossale concretezza e sostanza e rende tutto unico.

Lo stile dell’autore è originale e alterna scene quotidiane a scene horror piazzate sapientemente quando meno te lo aspetti. Te le racconta come se niente fosse, come quando per strada trovi un essere morto dietro una curva e ti assale l’ansia inattesa.

Quello che emerge potente da questa lettura è anche la malinconia, il dolore intrinseco alla vecchia quando è vissuta da soli, quando il tempo dell’amore è passato e passato è il mondo della gioventù. Il protagonista ci accompagna lungo la sua vita, dall’infanzia alla vecchia passando per un essere adulto di cui sembra avere pochi ricordi propri. Tutto è circolare in qualche modo. E qui Tancredi con la sua storia sembra essere il tassello mancante quel io non vissuto e al contempo l’inizio e la fine di tutto. Per questo di lui non vi parlo.

Parlare di questo romanzo è complesso perché succede tutto e non succede niente.

L’unico modo per scoprirlo è immergersi nelle sue pagine con mente aperta e lasciarsi avvolgere dalla sua crudele bellezza.

Per chi cerca una lettura che rompe gli schemi e spiazza “La Carne” è il romanzo perfetto.

Cristò vive a Bari, libraio, suona il pianoforte e ha pubblicato cinque romanzi: Come pescare, cucinare e suonare la trota (Florestano, 2007), L’orizzonte degli eventi (il Grillo, 2011), That’s (im)possible (Intermezzi, 2015), Restiamo così quando ve ne andate (2017) e La meravigliosa lampada di Paolo Lunare (2019) per TerraRossa.

Suoi contributi sono apparsi su “La Repubblica”, su “alfabeta2” e, online, su “Artribune” e “minima&moralia”.

Autore

  • laura_lag

    Laura. Classe 1987. Lei è un caos calmo. Da dieci anni si occupa di comunicazione a 360° per un Brand di moda del comasco giocando e sperimentando con parole e immagini. Nasce come lettrice in modo timido durante le scuole medie dove capisce subito che i suoi generi di riferimento non saranno mai "tranquilli". Al liceo la passione per i libri esplode e negli anni diventa qualcosa di fondamentale come respirare o dormire. Complice una formazione universitaria in mercati dell'arte prima e comunicazione per le imprese poi, insieme all'amore per la lettura sviluppa una forte adorazione per mostre, cinema e fotografia nonché per la scrittura come mezzo espressivo. Nel tempo libero ama lo sport ma soprattutto il contatto con la natura che negli ultimi anni l'ha trasformata in un vero folletto dei boschi. Testarda, sognatrice, idealista, permalosa, lunatica, leale, comprensiva, passionale nelle cose della vita. È una introversa-estroversa che si batte sempre per ciò in cui crede, anche quando vuole dire lottare contro i mulini a vento, e che non teme la solitudine e i vuoti. Ama i tatuaggi e il suo aspetto da ragazza della porta accanto si scontra con un amore smisurato per tutto ciò che è horror, gotico e dark, quindi non lasciatevi ingannare dalle apparenze. Sul suo comodino non mancheranno mai letture da brividi o romanzo intensi che scavano nell'animo umano. Questa passione per la lettura e tutto ciò che ruota intorno ai libri l'ha portata due anni a trasformare la sua pagina Instagram @laurag_lag in un luogo magico dedicato a recensioni, interviste ad autori e case editrici e progetti letterari. è anche membro direttivo di un collettivo di scrittura e illustrazione horror, Weird, Gotica al femminile @coven.riunito

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