Francesco Sparacino fondatore dell'agenzia letteraria Pastrengo
Francesco Sparacino fondatore dell'agenzia letteraria Pastrengo

Francesco Sparacino fondatore dell’Agenzia Letteraria Pastrengo 

Buongiorno Francesco e benvenuto tra le pagine de ilRecensore.it, la rivista letteraria pensata per tutti i protagonisti di questa meravigliosa passione che è la lettura.

Facciamo chiarezza sul ruolo dellagente letterario.

L’agente letterario è l’anello di congiunzione tra scrittore ed editore. 

I compiti che deve svolgere l’agente sono molteplici e vanno dalla valutazione dei manoscritti, alla scoperta di nuovi talenti, dallo spirito affaristico che deve mettere in campo per strappare i compensi migliori per gli autori che rappresenta, alla tenacia necessaria per perseguire i suoi obiettivi … e non solo …

Francesco Sparacino fondatore dell'Agenzia letteraria Pastrengo

Pastrengo è un’agenzia letteraria con sede a Milano fondata nel 2016 da Francesco Sparacino e Michele Turazzi.

Si occupa prevalentemente di fiction italiana, puntando molto sullo scouting e sulla ricerca di voci nuove.

Segue gli autori dalla fase di scrittura alla tutela dei diritti d’autore, in Italia e all’estero.

1. Rompiamo subito il ghiaccio con una domanda che racchiude mille possibilità: qual è stato il tuo percorso professionale che ti ha portato a fondare unagenzia letteraria?

«Ho sviluppato piuttosto tardi l’interesse per la lettura, superati i 20 anni. Fino ad allora leggevo poco e in modo casuale. Avevo scelto Legge per il mio percorso di studi. Tuttavia è stato proprio nel corso degli anni universitari, anche a causa di un momentaneo rigetto per gli studi intrapresi, che il mio sguardo si è allargato verso la letteratura.

Ho iniziato a leggere molto e in modo sistematico, ad appassionarmi sempre di più alle dinamiche del mondo editoriale e alla parte più sommersa (riviste letterarie, piccoli editori indipendenti, ecc.).

Nel 2007 ho frequentato il corso biennale della Scuola Holden, che tra le altre cose mi ha permesso di conoscere Marco Gigliotti, con cui ho fondato la rivista di racconti Colla. Ho collaborato con alcuni agenti letterari, soprattutto per le letture, e ho iniziato a fare lo stesso con alcuni editori, tra cui Rizzoli, per cui ho successivamente cominciato a occuparmi di editing. 

Da un po’ di tempo ragionavo sul modo migliore per valorizzare il percorso fatto fin lì e dare seguito al lavoro di scouting fatto con Colla sugli autori esordienti. Quando nel 2016 ho rincontrato Michele Turazzi, conosciuto già in passato nel giro delle riviste indipendenti (Michele è tra i fondatori della rivista di racconti Follelfo e della rivista di critica La Balena Bianca), anche lui alle prese con un momento di passaggio del proprio percorso professionale, è venuto naturale immaginare insieme ciò che, tassello dopo tassello, è poi diventata Pastrengo Agenzia Letteraria.»

2. Ogni progetto porta con sé un’idea ben precisa; qual è la filosofia che sta alla base della tua agenzia?

«Sfrutto un’espressione abusata: Pastrengo è nata dal basso. Spesso dietro la creazione di una nuova agenzia ci sono professionisti con anni di esperienza che si staccano da un’altra agenzia, oppure da un editore, facendo il salto dall’altra parte. Professionisti che, oltre ad aver avuto modo di conoscere da vicino e a lungo le varie parti della filiera editoriale, hanno consolidato nel tempo rapporti con editor, direttori editoriali, autori.

Questo significa poter cominciare già da un livello avanzato. Perché il tuo nome è sinonimo di garanzia per i referenti editoriali a cui ti rivolgi e perché verosimilmente hai almeno un piccolo bacino di autori più o meno affermati che dall’inizio abbracciano il progetto, scegliendo di farsi rappresentare. 

Francesco Sparacino - Agenzia Letteraria  Pastrengo
Noi non eravamo degli sprovveduti quando abbiamo fondato Pastrengo, conoscevamo il mondo in cui avevamo scelto di muoverci, ma il mondo editoriale conosceva meno bene noi.

Aver fondato delle riviste letterarie ci aveva permesso di entrare in contatto con tanti autori promettenti, sapevamo però che l’unico modo di non farci schiacciare subito in un contesto iper-affollato come quello delle agenzie, era lavorare su identità, credibilità e sul concetto di cura.

La maggior parte degli autori che hanno aderito inizialmente a Pastrengo non avevano ancora esordito, oppure avevano esordito con piccoli editori, oppure venivano da esperienze complicate con la grande editoria e avevano bisogno di rilanciarsi.

La filosofia iniziale è stata quella di immaginare con tutti loro un progetto di crescita reciproco. Ogni volta che la percezione esterna su un autore è cresciuta, è cresciuta la possibilità dell’agenzia di presentarsi con forza a vecchi e nuovi interlocutori (editori, case di produzione, ecc.); ogni volta che la percezione esterna sull’agenzia è cresciuta, si sono moltiplicate le opportunità per gli autori rappresentati. Ma se questo è potuto accadere è stato per la qualità dei testi selezionati e poi proposti all’inizio.

Nessun editore avrebbe dato retta a una nuova, piccolissima, agenzia se il livello dei testi rappresentati fosse stato semplicemente medio, se gli invii non fossero stati mirati e coerenti con la linea e le caratteristiche di ogni referente. 

Anche oggi, a distanza di quasi otto anni dalla nascita dell’agenzia, la filosofia di base resta allora quella di scegliere con grande attenzione e cura i singoli testi e gli autori con cui lavorare.» 

3. Il tuo impegno come agente letterario va oltre i confini della tua Agenzia, infatti sei anche socio fondatore diADALI – Associazione degli Agenti Letterari Italiani; me ne vuoi parlare?

«Quando Adali è nata, nel 2020, Pastrengo era una delle agenzie più giovani. Già da tempo alcune realtà ragionavano sulla possibilità di fare rete, creando qualcosa che favorisse il dialogo interno e permettesse di unire le forze per raggiungere piccoli e grandi traguardi utili all’intera categoria.

Siamo stati molto felici di unirci al discorso in corso e contribuire alla creazione dell’associazione. Inoltre, in un contesto editoriale pieno di agenzie ma spesso poco decifrabile per tanti autori esordienti, con Adali abbiamo tutti colto l’occasione per stabilire delle regole di base condivise, che permettessero all’esterno di avere le idee un po’ più chiare sulle modalità attraverso le quali dovrebbe operare un’agenzia letteraria che si rispetti. Il confronto con altri agenti, la periodica condivisione delle rispettive esperienze, così come tante altre novità arrivate grazie ad Adali, oggi mi sembrano imprescindibili per il nostro lavoro.» 

4. C’è un genere letterario che prediligi più di altri e per cui hai sviluppato un fiuto particolare?

«Nei primi anni, anche per background mio e di Michele, il principale bacino di scouting di Pastrengo sono state le riviste letterarie. Questo ha significato puntare soprattutto su autori e autrici inclini alla sperimentazione linguistica e narrativa, riconoscibili per voce e sguardo. Anche se, rispetto alle case editrici, le agenzie letterarie sono meno legate a una precisa linea editoriale, non essendo altrettanto forte l’esigenza di dare coerenza e riconoscibilità al proprio catalogo, se si scorre la lista dei libri e degli autori rappresentati da Pastrengo è abbastanza chiaro come il focus iniziale sia rimasto anche oggi un tratto distintivo.

Tuttavia, con il tempo, abbiamo allargato il campo di ricerca, cercando di aggiungere un tassello alla volta. Siamo anche dei grandi appassionati di gialli e noir e, soprattutto negli ultimi tre anni, questo ha portato all’ingresso in agenzia di un buon numero di autori di genere. Abbiamo iniziato, con grande curiosità e passione, ad approfondire il settore ragazzi e Young Adult e, se all’inizio ci occupavamo solo di fiction, ormai la saggistica è entrata a pieno titolo tra gli interessi dell’agenzia.»

5. Pastrengo è anche una rivista di racconti brevi, forse il miglior modo per venire in contatto con il talento di autori ancora sconosciuti…

«Per le ragioni già evidenziate prima, quando abbiamo fondato Pastrengo ci è sembrato naturale collegare all’agenzia una rivista di racconti. Non volevamo però ripetere quanto già fatto con Colla e Follelfo e ci affascinava particolarmente l’idea di concentrarci su racconti lampo, che si potessero leggere in due minuti.

Allo stesso tempo, sapevamo che fissare il limite massimo di lunghezza a poco più di una cartella (2500 battute spazi inclusi) avrebbe comportato il rischio di ricevere moltissimi non-racconti. Magari singole scene o descrizioni anche ben fatte, ma lontane dall’essere delle mini-narrazioni compiute, che era ciò a cui puntavamo. Per questo, all’inizio, abbiamo fatto un lavoro preparatorio importante, contattando vari autori che conoscevamo e stimavamo e che sapevamo avrebbero potuto scrivere per noi racconti capaci di segnare un solco, di indicare una strada a chi si fosse poi proposto alla rivista sul tipo di narrazione breve che volevamo proporre. Ha funzionato.

Ogni settimana ci arrivano moltissime proposte, con una qualità media di cui siamo molto soddisfatti. Questo ci permette anche di entrare direttamente in contatto con tanti bravi autori.

Certo, il passaggio dalle 2500 battute al romanzo è tutt’altro che scontato, ed è raro che dal racconto pubblicato sulla rivista si arrivi alla rappresentanza. In ogni caso ci capita di leggere testi interessanti arrivati da autori passati inizialmente dal canale rivista.» 

6. Quale caratteristica deve avere un manoscritto per convincerti a proporlo alle case editrici?

«Quando scegliamo di puntare su un testo e, di conseguenza, nel lungo periodo, sul suo autore, è perché ci colpisce sotto due aspetti: gusto personale e potenzialità editoriali.

Nel primo caso può entrarci l’equilibrio tra più elementi – voce, sguardo, originalità della storia, tenuta narrativa, ecc. – o il fatto che ce ne siano un paio che spiccano in modo talmente evidente da conquistarci senza riserve. Allo stesso tempo non possiamo prescindere dal contesto in cui ci muoviamo e dal fatto che i nostri referenti sono le case editrici.

Il primo obiettivo di un’agenzia è far sì che i testi rappresentati trovino una collocazione editoriale seria e perché ciò avvenga è fondamentale, in fase di selezione, fare delle proiezioni sugli editori in linea con il testo che dovremmo proporre. Lavorare con romanzi o saggi che immagini di poter presentare, per coerenza con collane e linea editoriale, a un gruppo molto ristretto di case editrici è controproducente.

Anche perché, al di là dell’ipotetica coerenza con le scelte e le ricerche dell’editore, ci sono altre varianti che devono coincidere perché la risposta di almeno una casa editrice sia alla fine effettivamente positiva: per esempio, spazio disponibile in catalogo nei successivi 18 mesi, assenza tra le recenti acquisizioni di un libro con tratti simili (o, magari, assenza di un recente flop commerciale con un libro con tratti simili), ecc. Insomma, per noi è fondamentale che il testo su cui scegliamo di puntare con la rappresentanza possa essere proposto a un gruppo nutrito di editori medio-grandi o comunque di qualità, con ragionevoli speranze di suscitarne l’interesse.

Poi, certo, capita pure di restare talmente affascinati da un romanzo e dal talento di chi l’ha scritto da scommetterci a occhi chiusi, indipendentemente dal fatto che sembrerebbero esserci pochi spazi editoriali.» 

7. Quale successo editoriale ti ha stupito di più? 

«In generale mi ha un po’ stupito la recente esplosione (o il ritorno) dei romance, così come, in precedenza, quella delle saghe famigliari d’impronta storica. Prima dei casi editoriali che hanno sdoganato i rispettivi generi, l’impressione era di un’attenzione bassa da parte degli editori. Adesso c’è una ricerca spasmodica. Ma alla fine questo accade ciclicamente di continuo.

Negli ultimi tempi sembra essere tornata l’attenzione editoriale su fantasy e narrativa fantastica, con nuovi marchi dedicati che nascono e collane specifiche. Tuttavia mi dispiace constatare come ci si concentri quasi esclusivamente sulle traduzioni e lo spazio sia ancora molto ridotto per gli autori italiani. Spero che, anche da questo punto di vista, le cose possano cambiare nel prossimo anno. 

Collegandomi invece alla risposta precedente e pensando agli ultimi libri pubblicati tra quelli rappresentati da Pastrengo, in agenzia siamo rimasti piacevolmente sorpresi dall’accoglienza ricevuta, in fase di proposta, da un romanzo che a noi aveva stregato, ma su cui temevamo di trovare un po’ di resistenze da parte degli editori.

Mi riferisco al nuovo romanzo di Daniele Pasquini, «Selvaggio ovest», uscito a fine gennaio per NN e vincitore del Premio selezione Bancarella. «Selvaggio ovest» è un western puro ambientato nella Maremma di fine Ottocento.

È un romanzo straordinario, ma ci chiedevamo quanto un western, seppur straordinario, andasse incontro alle attuali ricerche editoriali. Per fortuna, a quanto pare la risposta alle nostre domande era: «molto». C’è stata davvero tanta curiosità da parte degli editori a cui lo abbiamo proposto. E una volta arrivato in libreria, grazie all’ottimo lavoro di NN, ha attirato anche la curiosità di tantissimi lettori.» 

8. Isak Dinesen sosteneva che «Ogni pena può essere sopportata se la si narra, o se ne fa una storia», sei d’accordo anche tu che la fantasia narrativa può essere curativa?

«Non so quanto lo sia per chi scrive. Da lettore, mi viene da dire che sì, perdersi dentro le storie raccontate da altri possa essere anche, in parte, curativo. Quando penso ad «Alta fedeltà», per esempio, non serbo solo il ricordo di un romanzo che mi è piaciuto, penso anche, soprattutto, a un romanzo che mi ha fatto stare meglio in un periodo di umore non eccezionale. »

9. L’ultimo libro del filosofo pop Byung-chul Han, La crisi della narrazione, sostiene che la nostra epoca sta vivendo la mercificazione delle storie; siamo passati dalla prassi narrativa, quella lenta e riflessiva dei grandi classici, al moderno e consumistico storytelling. La narrativa si deve adeguare all’efficientismo odierno o deve rimanere il regno incantato in cui perdersi per poi ritrovarsi ?

«Messa così è difficile non propendere per la seconda opzione : D »


10. È difficile proporre autori italiani nel mercato estero? quali sono i generi che riscontrano il maggior interesse allestero?

«L’attenzione per i titoli italiani all’estero è molto influenzata dal successo in Italia, per vendite e premi. Poi, quando si parla di traduzioni all’estero, bisogna anche e soprattutto capire di che tipo di editori parliamo. 

Per quanto riguarda il genere, dipende anche dal Paese di riferimento. Di recente, per esempio, confrontandoci con dei colleghi brasiliani, ci ha fatto sorridere scoprire come fossero particolarmente disinteressati al crime, che invece è ciò che di solito ci viene più richiesto. »


11 Per chi volesse intraprendere questa carriera lavorativa, come si diventa agente letterario? Quali sono le peculiarità che bisogna avere per avere successo in questo lavoro?.

«Il percorso per arrivare a fare l’agente può essere molto diverso. Io sono diventato agente partendo da un approccio di scouting editoriale, per molti diventa un’opzione dopo aver intrapreso una strada legata ai diritti. Di solito non è la prima cosa a cui pensi quando provi ad addentrarti nel mondo editoriale, ma ultimamente stanno nascendo vari corsi interni ai Master in editoria, alle Scuole di scritture, ecc: quella dell’agente comincia a essere una figura sempre meno nebulosa per chi guarda a una carriera in campo editoriale. 

Dal mio punto di vista le qualità principali per farsi strada, almeno partendo dal basso, sono: curiosità, empatia, pazienza, educazione, capacità di mediare, perseveranza.»

12. Mettiamoci nei panni dello scrittore: perché decidere di affidarsi a un agente letterario e come valutare quale agenzia sia la migliore per lui?

«Spesso si pensa all’agente solo come figura che può permettere all’autore di arrivare più facilmente a farsi leggere e pubblicare dagli editori. È di certo una parte importante del lavoro, ma ce ne sono altre altrettanto significative.

Uno scrittore, specie se esordiente, nel momento in cui riceve una proposta contrattuale da un editore, difficilmente è portato a chiedere modifiche e adeguamenti, finendo per accettare condizioni basiche e clausole sfavorevoli.

Una parte fondamentale del lavoro dell’agente riguarda quella di provare a ottenere le migliori condizioni contrattuali possibili per l’autore rappresentato, dal punto di vista economico, ma non solo.

E successivamente vigilare perché siano rispettate. Parlare di soldi per conto dell’autore è parte integrante del lavoro dell’agente ed è, di solito, un argomento che gli autori hanno quasi timore ad affrontare con gli editori. Soldi da ottenere con un anticipo, soldi dovuti e ancora non corrisposti… trovo che contrattare e parlare di soldi sia un lato molto divertente del lavoro di agente.

Ma è importante capire che parlare di soldi in fase contrattuale significa anche mettere alla prova l’interesse di un editore nei confronti del testo che gli si sta affidando, ed è l’unico strumento concreto per testare in anticipo la reale volontà di impegnarsi nella promozione, al di là della retorica e delle promesse. 

Nella scelta dell’agenzia a cui affidarsi secondo me è importante studiare bene la lista degli autori rappresentati, capire se c’è un’affinità; guardare le ultime dieci, venti pubblicazioni e capire se gli editori con cui l’agenzia ha lavorato rappresenterebbero degli sbocchi graditi per la propria opera. E poi, soprattutto, dipende dall’impressione che lascia la persona. Il rapporto tra agente e autore è molto personale ed è fondamentale che ci sia fiducia e affinità. 

Inoltre è importante valutare con attenzione la «grandezza» dell’agenzia: in assoluto, ma anche in rapporto alla propria di «grandezza».

Entrare, da esordiente, o da autore con vendite non particolarmente alte, in un’agenzia che rappresenta moltissimi scrittori e ha, tra questi, parecchi best seller, può dare una spinta alla propria carriera o può, di contro, portare velocemente a una perdita di attenzione e interesse nei confronti del proprio lavoro.»

13. Il mondo dell’editoria sta mostrando negli ultimi anni il suo volto più commerciale, riversando sul mercato un numero impressionante di titoli, spesso a scapito della qualità. Bisognerebbe forse fare un passo indietro e tornare a curare ogni singolo libro, come un vero prodotto intellettuale e cercare di sostenere di più lautore che lo ha creato?

«Come per una delle domande precedenti, anche qui è impossibile, idealmente, non rispondere che sì, bisognerebbe fare un passo indietro, pubblicare meno libri e curarne con più attenzione il percorso. Ma temo che le cose siano più complicate.

Il numero impressionante di titoli riversati sul mercato è anche conseguenza delle problematiche legate alla stessa sopravvivenza delle case editrici. 

Mi capita, a volte, con un amico scrittore appassionato di calcio come me, di immaginare uno scambio calcio-letteratura nella quotidianità di ciascuno di noi. 

Andare a prendere un caffè al bar e trovare gruppi di anziani che litigano sui risultati del Campiello. Aprire il quotidiano e trovare indiscrezioni e sondaggi sul passaggio da un editore all’altro dell’editor junior tal dei tali, sui papabili editori per i finalisti del Calvino, sui soldi, anche: sull’anticipo che verrà percepito, sulle clausole secondarie che (attenzione!) nonostante il contratto sia per tre libri, permetterebbero all’autore di rescindere dopo la prima pubblicazione in caso di interesse da parte di un misterioso editore con sede a Palermo… 

Francesco Sparacino consiglia Infinite Jest di David Foster Wallace

È un mondo bellissimo (a patto che comunque il calcio mantenga uno spazio adeguato), ma è, probabilmente, anche un mondo non troppo più utopistico di quello in cui i grossi marchi editoriali limitano i titoli per curarli meglio e offrire una qualità più alta (sospetto, anzi, che una riduzione di titoli andrebbe nel caso a pesare proprio su quelli che considereremmo come «prodotti intellettuali e di qualità»). »

14. Infine chiudiamo con un invito che rivolgiamo a tutti. Ci puoi citare tre libri che secondo te dovrebbero leggere tutti e un autore da scoprire o riscoprire?

«Siccome citare Infinite Jest è diventato ormai così banale che da un paio d’anni si è quasi smesso di farlo, cito Infinite Jest.

E vista la mole lo faccio valere per tre. Io poi nutro un certo affetto, come autore, per Joshua Ferris, tradotto da Neri Pozza, e «Non conosco il tuo nome» è il suo romanzo che di solito consiglio.»

Grazie mille per la disponibilità Francesco 😉

Autore

  • Patty

    Socia fondatrice della Rivista ilRecensore.it SEO Content Creator, traduttrice, Blogger e firma di interviste e recensioni su vari siti letterari. Cresciuta a Goethe e cioccolata, ho trascorso gran parte della vita tra l’Italia, la Germania e la Francia, apolide nel Dna tanto quanto nel Pensiero. Gli studi classici prima e Scienze Politiche poi, hanno sviluppato il mio senso critico, sfociato poi nella mia vita da BookBlogger. Sono sempre in cerca della storia perfetta. In borsa porto Joyce e Jackson, le penne che compro in giro per il mondo e tanta passione.

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