Io che non ho conosciuto gli uomini - ilRecensore.it
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 Io che non ho conosciuto gli uomini di Jacqueline Harpman

Io che non ho conosciuto gli uomini: la distopia intima di una donna che scopre l’umanità senza averla mai conosciuta.

In un bunker sotterraneo, trentanove donne sono tenute in isolamento in una cella. Sorvegliate da violente guardie, non hanno alcuna memoria di come sono arrivate lì, nessuna nozione del tempo, solo un vago ricordo delle loro vite precedenti.

Mentre il ronzio della luce elettrica fonde il giorno con la notte e gli anni passano, una ragazza – la quarantesima prigioniera – siede sola ed emarginata in un angolo.

Questa misteriosa ragazza che non ha conosciuto gli uomini sarà la chiave per la fuga e la sopravvivenza delle altre nel mondo desolato che le attende in superficie.

Ci sono storie che rispondono a delle domande, e poi ci sono storie, problematiche e attuali, che le domande le pongono, interrogando attoniti lettori che non si aspettavano di essere inchiodati così di fronte al grande mistero dell’esistenza.

Partiamo con la dovuta calma: c’è una storia, senza dubbio non banale, per quanto semplice, e c’è una seconda trama, intessuta nella psiche della protagonista, che ci può funzionare come un bisturi per scavare nella profondità della nostra stessa esperienza di vita. 

La “piccola”, che non possiede un nome, e non lo possiederà per l’intero svolgersi della storia, vive da sempre in un bunker, completamente isolato dal mondo esterno, sorvegliata a vista da guardie armate. Le sue compagne di prigionia sono altre 39 donne, di età diverse, sensibilmente maggiori della sua, con le quali divide un’esistenza ridotta ai minimi termini, segnata dalla mancanza: quello che viene loro fornito è lo stretto indispensabile per rispondere alle esigenze fisiologiche più basilari. Nessuna di esse è in grado di ricostruire gli avvenimenti che le hanno portate a questa situazione; la memoria diviene un luogo dove rifugiarsi, ricostruendo ricordi di un passato felice, di una vita normale. Per tutte, tranne che per lei. Per lei, troppo piccola al momento dell’inizio della prigionia, non ci sono memorie che possano risalire a un tempo precedente la vita nel bunker. 

“Per parecchio tempo le giornate si sono svolte in modo simile, poi ho cominciato a pensare e tutto è cambiato”

È nel pensiero che si attua la grande rivolta della “piccola”: in prima battuta, prende coscienza del potere offertole dalla capacità di sapersi figurare nella mente situazioni e vicende impossibili.

Creare un immaginario costruisce uno spazio che è già resistenza, per quanto interiore. 

Successivamente, diventa capace di indagare il tempo, armata dei soli suoi scarsissimi mezzi: la capacità di contare, dovuta agli insegnamenti delle compagne di cella, e quella di percepire i battiti del proprio cuore, dapprima in modo cosciente e poi sempre più intuitivo. Conoscere non è forse il primo passo per gestire e, in ultima istanza, sovvertire un sistema che funziona a priori da noi?

Un commento a parte lo merita la struttura dell’opera: essa non è divisa in capitoli, né ci sono separazioni tra paragrafi.

Il testo si presenta come un unico corpo, respingente nella fatica necessaria per la lettura, ma, allo stesso tempo, capace di rapire il lettore, costringendolo a portare avanti l’impresa, quasi contro la sua stessa volontà. Non vi sono né prefazioni, né commenti; chi legge è lasciato nella solitaria contemplazione del testo.

La prima edizione italiana dell’opera, uscita trent’anni fa in Francia, è finalmente tradotta e pubblicata in italiano grazie al lavoro di Blackie edizioni. La casa editrice, quasi a voler compensare l’atmosfera di isolamento che pervade le pagine proposte in un bel formato in copertina rigida, con un’affascinante illustrazione di Anna Morrison, ha proposto il titolo per un gruppo di lettura diffuso in tutta Italia, organizzato in collaborazione con numerose librerie di ogni dimensione e genere. 

Si tratta di una lettura veloce, ma destinata a rimanere con chi l’ha scelta, non semplice da metabolizzare, ancora meno da dimenticare.

Una voce narrante lucida e disincantata in un universo distopico non può che affascinare, in quanto capace di riportare fedelmente il proprio mondo annientato, e ancor più abile nel riflettere su ciò che la circonda e sugli eventi che, in modo indipendente dalla propria volontà, la coinvolgono. Ciò che da una prospettiva diversa la renderebbe inevitabilmente vittima, arretra di fronte al suo potere di mettersi al centro della propria esistenza, con un ruolo da protagonista, anche per via della sua conquistata capacità di raccontare e raccontarsi.  

Importanti punti di svolta segnano una storia originale nella sua drammatica essenzialità: sorprese narrative che, tuttavia, non riescono a cambiare i tratti distintivi del racconto, finendo per lasciare il lettore privo della grande rivelazione che ha atteso per tutte le pagine.

Non si può alla fine fare a meno di chiedersi: Io che non ho conosciuto gli uomini non racconta forse la vita di ognuno di noi? Quanto spesso ci troviamo buttati in un destino senza scopo né senso, costretti a trovare stratagemmi per la sopravvivenza, senza il privilegio di poter vedere un disegno più grande che, forse, a questo punto, neanche c’è?

L’unica speranza per qualcosa che possa assomigliare alla salvezza è da cercare nella propria vita interiore: conoscere per poter cambiare, nel quotidiano, resistere alle avversità della sorte, e, infine, per quanto inevitabilmente vinti, vincere. 

Voto: M

Jacqueline Harpman, nata a Etterbeek (Belgio), è stata scrittrice e psicoanalista.

A causa dell’invasione nazista, la sua famiglia, di origine ebrea, si trasferisce a Casablanca, in Marocco, dove Jacqueline comincia gli studi superiori, per poi proseguirli a Bruxelles dopo la fine della guerra.

In seguito si laureerà in Medicina ed eserciterà la professione fino al termine della sua vita. Ha scritto oltre venti romanzi, tutti fortemente influenzati dalla sua formazione psico-analitica, ricevendo numerosi premi. È morta a Bruxelles nel 2012.

Autore

  • Samira

    Samira nasce e cresce nella provincia fiorentina, fin da giovanissima vorace ma esigente lettrice, si interessa di numerosi generi e argomenti. In ambito lavorativo, si occupa di riabilitazione del linguaggio nell'età evolutiva e condivide con i bambini che frequentano il suo ambulatorio letture per i più piccoli. Ha conseguito un master in Linguistica Clinica, come coronamento di una formazione sia scientifica che umanistica. È impegnata nell'ambito sociale, in particolare nell'organizzazione di eventi culturali e nella gestione di spazi per la collettività.

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