L'imperatore della gioia - Abbiamo letto - ilRecensore.it
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L’imperatore della gioia di Ocean Vuong

L’imperatore della gioia: un ritratto dell’America marginale nell’ultimo romanzo di Ocean Vuong

Che cosa saremmo disposti a fare, per avere una seconda possibilità? È una sera di fine estate. Nella città post-industriale di East Gladness, in Connecticut, il diciannovenne Hai, disilluso e tradito dal grande sogno americano, ha preso la sua decisione: sotto la pioggia battente, in piedi sul bordo di un ponte, è pronto a saltare. Improvvisamente, una voce proveniente dall’altra parte del fiume lo immobilizza.

È Grazina, un’anziana vedova tedesca, sopravvissuta alla Seconda guerra mondiale, che lo convince a prendere un’altra strada. Smarrito e senza possibilità di scelta, Hai diventa il suo custode. Così, in pochi mesi, l’improbabile coppia sviluppa un legame destinato a cambiare profondamente la vita di entrambi.

Nasce un affetto profondo, fatto di solidarietà, spiritualità, cura e condivisione del dolore, che ben presto trasforma il rapporto di Hai con se stesso, la sua famiglia e una comunità che attraversa una crisi profonda. 

Certi romanzi sanno raccontare l’anima di un Paese meglio di qualsiasi saggio sociologico. “L’imperatore della gioia” è uno di questi.

Dopo il folgorante esordio con “Brevemente risplendiamo sulla terra”, Ocean Vuong torna a raccontare l’America degli ultimi con lo sguardo disincanto dell’immigrato che di quella terra conosce le zone d’ombra e vuole portarle alla luce. Attingendo alla sua esperienza personale (il suicidio di uno zio e il lavoro nei fast food), lo scrittore vietnamita ci offre qui uno spaccato realistico degli Stati Uniti visto da chi sta ai margini di quella società e deve trovare ogni giorno un motivo valido per andare avanti.

Al centro della narrazione ci sono Hai, un sedicenne, che, dopo aver tentato il suicidio, intreccia una improbabile convivenza con Grazina, una lituana di ottantaquatto anni sopravvissuta alla Seconda Guerra Mondiale.

Malgrado la distanza generazionale, i due condividono la stessa condizione di marginalità: entrambi sono profughi a East Gladness, nel Connecticut, ed entrambi appaiono spaesati, vulnerabili, senza prospettiva. Lei soffre di demenza senile, ha spesso vuoti di memoria, con la sua mente si trasferisce in una realtà parallela, e Hai la asseconda, diventa per lei il sergente Pepper, si muove a suo agio in quella finzione, lui che ha inventato alla madre di  esser andato a studiare medicina a Boston e appare incapace di immaginare un futuro per la sua vita.

C’è intimità nel loro rapporto e non solo perchè Hai la assiste come farebbe un vero infermiere (somministrandole le pillole, accompagnandola al bagno); il ragazzo parla il suo stesso linguaggio, a differenza di Lucas, figlio di Grazina, che vorrebbe rinchiuderla in una casa di cura (“Puzza di piscio” le dicono i nipoti). L’anziana donna e il giovane inquilino sono uguali, lei non ha nulla da insegnargli, quando gli trasmette le sue “verità” lo fa con ironia, senza prendersi troppo sul serio: “Se riesci a non essere nessuno, e a reggerti sulle tue gambe a lungo come me, questo è abbastanza. […]Le persone non lo sanno, che cosa è abbastanza. È questo il problema. Pensano di soffrire, ma il realtà sono solo annoiate. Non mangiano abbastanza carote”.

Per sbarcare il lunario, Hai va a lavorare all’Home Market, un fast food che diventerà per lui una seconda casa: qui formerà una seconda famiglia con gli strampalati colleghi di lavoro che con lui  condividono le giornate e le bizzarrie di un sistema di sfruttamento del lavoro implacabile.

Ocean Vuong descrive bene, per averlo vissuto in prima persona, quel contesto di lavoro, quelle cattedrali di olio fritto e cibo ultraprocessato in cui si rischia di perdere ogni barlume di umanità.

Eppure, sarà proprio tra gli ultimi che nasceranno forme inaspettate di cameratismo e di solidarietà e che si manifesteranno gesti spontanei di gentilezza “senza ritorno”. Si empatizza facilmente con la loro sofferenza e la loro dipendenza dagli psicofarmaci: in una delle scene più toccanti del libro, la descrizione del macello di maiali in una fattoria “biologica” appare speculare al massacro degli esseri umani, stritolati da un sistema capitalistico che non concede tregua e non ammette sconfitta

Appare qui tutta l’ambivalenza del titolo: i maiali imperatore erano così chiamati perchè la loro carne era il pasto prediletto degli imperatori. Quale gioia può esserci in tutto questo? 

Ocean Vuong è un poeta e delle parole conosce potenzialità e forza esplosiva. Per quanto questo secondo romanzo si differenzi dal primo per un minore ricorso al lirismo e i toni più maturi e tradizionali, frequente è il ricorso alle metafore: c’è la guerra, ad esempio, quella vissuta da Grazina e che riaffiora, qua e là, nei suoi ricordi; quella di Sony, il cugino di Hai, che parla continuamente della guerra civile americana; quella di Maureen, che, dopo aver perso il figlio piccolo, si comporta sul posto di lavoro come in trincea; quella di Wayne, la manager del fast food con la passione per il wrestiling.

Saranno proprio questi fili rossi, queste battaglie quotidiane a rendere i personaggi del romanzo una grande comunità capace di sostenersi a vicenda. 

Colpisce in questo libro la maturità espressiva di uno scrittore che ad appena trentasei anni sembra aver vissuto il doppio dei suoi anni.

Quanto bene può nascere quando le esperienze personali si trasformano in racconto collettivo? Quando cadono le barriere tra il mio e il tuo mondo?

Ocean Vuong fornisce più di una risposta in questo libro, L’imperatore della gioia, che racconta di identità, solitudine, sfruttamento del lavoro come farebbe uno scrittore navigato. Il che ci lascia ben sperare per le sue prossime prove.

Ocean Vuong autore di L'imperatore della gioia - ilRecensore.it

 Ocean Vuong è nato nel 1988 in Vietnam e si è trasferito nel 1990 negli Stati Uniti; attualmente vive tra Northampton, in Massachusetts, e New York City, dove insegna alla NYU. Prima di dedicarsi alla scrittura ha lavorato come cuoco, coltivatore di tabacco, badante domestico e cameriere in un fast food.


Il suo romanzo d’esordio,”Brevemente risplendiamo sulla terra”(2020), è stato un evento letterario, tradotto in quaranta lingue e vincitore dell’American Book Award, del Mark Twain Award e del New England Book Award, oltre che finalista ˗ tra gli altri ˗ al National Book Award for Fiction.

In Italia ha pubblicato anche la raccolta di poesie“Cielo notturno con fori d’uscita” (Whiting Award 2016, T.S. Eliot Prize 2017) e”Il tempo è una madre”(2023). 

Autore

  • Donatella Vassallo

    Insegnante di professione, con una lunga carriera come giornalista, coltivo da sempre l’arte del dubbio e del silenzio. I libri mi permettono di entrare nelle vite altrui e di esplorarne i confini. Quando non leggo, cammino, corro o medito, nel tentativo di gustare fino in fondo ogni attimo del mio tempo. Sono molto selettiva nei gusti letterari: se vi consiglio un libro, vuol dire che mi ha fatto vibrare l’anima. E lo stesso vorrei succedesse anche a voi.

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