Menti trasparenti. Rappresentazioni narrative della vita interiore
SINOSSI
Caposaldo della narratologia novecentesca finora ingiustamente misconosciuto in Italia e qui tradotto integralmente per la prima volta, il volume ci offre un’indagine rigorosa e appassionante delle tecniche narrative utilizzate dai più grandi romanzieri del XIX e del XX secolo per dare voce alla vita interiore dei loro personaggi. La psiconarrazione, il monologo citato, il monologo narrato, l’autonarrazione, il monologo autonomo sono illustrati attraverso esempi tratti da scrittori come Jane Austen, Stendhal, Fëdor Dostoevskij, Thomas Mann, James Joyce, Marcel Proust e molti altri. A quasi cinquant’anni dalla sua prima pubblicazione, il saggio di Cohn resta un’opera viva e attuale, capace di fornire ancora risposte stimolanti e tutt’altro che scontate a chi si interroga sulla necessità dell’arte narrativa e a chi cerca di capire che cos’è la finzione e quali sono i suoi possibili usi.
RECENSIONE
Menti trasparenti ha cinquant’anni ma non ha affatto il carattere di cimelio storico della narratologia, tutt’altro.
Ha la freschezza di una lettura non solo piacevole, ma necessaria per chi si occupa di narratologia e scrittura. La domanda a cui risponde il testo è: in che modo gli scrittori raccontano la vita interiore dei loro personaggi?
Tristram Shandy raccontava il mito di Momo, condividendo il suo stesso disappunto nei confronti del dio Vulcano, che non aveva aperto una finestra sul petto degli uomini – quando li aveva fabbricati – in modo da consentire che qualsiasi cosa essi provassero o sentissero fosse immediatamente alla luce del sole. Se così fosse stato, per conoscere l’anima di qualcuno, sarebbe stato sufficiente prendere una sedia, mettersi in silenzio davanti a qualcuno e osservare i suoi pensieri.
Ma, conclude Tristram, la mente umana è avvolta in un involucro opaco, non è visibile. E quindi, come conoscere e narrare ciò che passa per la mente dei personaggi?
Dorrit Cohn individua tre maniere: 1. psiconarrazione 2. monologo citato 3. Monologo narrato.
La problematica relativa alla narrazione dell’interiorità dei personaggi non nasce insieme al romanzo. Nei romanzieri del Settecento – l’autrice cita ad esempio Fielding – e di gran parte dell’Ottocento (es. Thackeray e Balzac) il ritmo narrativo e l’attenzione verso i fatti genera una diffidenza nei confronti dell’introspezione.
Quando essa appare lo fa, ed ecco la psiconarrazione, come presenza della voce autoriale che incorpora i pensieri dei suoi personaggi all’interno della sua visione sulla natura umana. Cohn porta esempi, glossa citazioni e rende in tal modo la lettura del proprio saggio una picevole passeggiata per i boschi narrativi di varie letterature europee.
Ma queste passeggiate non sono divagazioni, perché servono a formulare delle “leggi”, o meglio dei criteri che servono da bussola nella lettura delle varie scelte dei narratori. Ad esempio, la psiconarrazione mostra «una relazione inversamente proporzionale tra mente autorale e mente figurale: più il narratore è appariscente e idiosincratico, meno è propenso a rivelare le profondità della psiche dei suoi personaggi o a creare psiche che abbiano una profondità da rivelare. Sembra quasi che il narratore autoriale custodisca gelosamente la sua prerogativa di unico essere pensante all’interno del romanzo, presentendo che sarebbe un pericolo per il proprio equilibrio avvicinarsi troppo a un’altra mente e romanervi troppo a lungo» (p. 44).
La storia della narrativa, seguendo la brillante tesi di Cohn è pian piano la scomparsa nell’universo romanzesco della voce udibile del narratore e la sostituzione della coscienza iperpresente del narratore con una coscienza figurale pienamente sviluppata.
Pur spostandosi dal centro della scena, il narratore della psiconarrazione diviene «il neutrale ma indispensabile complice di una narrazione orientata sul personaggio». Flaubert ed Henry James, insieme a Thomas Mann sono gli esempi più fulgidi di questo atteggiamento autoriale.
Con un’analisi comparata de La morte a Venezia di Thomas Mann e Ritratto dell’artista da giovane di James Joyce, Dorrit Cohn presenta i due differenti atteggiamenti degli autori nei confronti del testo.
Thomas Mann reintroduce un narratore con una voce udibile in terza persona e mette questa voce al servizio della psicologia individuale. Il modo in cui il narratore de La morte a Venezia ci presenta le avventure interiori di Aschenbach ci porta ad una progressiva distanza della coscienza autoriale da quella del protagonista.
«Senza necessariamente implicare l’onniscienza – il narratore di Mann assume piuttosto la posa di chi è in uno stato di perplessità speculativa -, questo linguaggio concettuale mostra come un narratore che domina la scena presenta la vita interiore: distanziandosi dall’esperienza psichica in sé come uno psichiatra con le sue note diagnostiche si distanzia dalle libere associazioni del suo paziente» (p. 47).
Vi è una disparità cognitiva fra il narratore e il personaggio: il primo riesce a dar voce a dimensioni psicologiche del secondo, che quest’ultimo non vuole o non può esprimere.
Differente è l’approccio di Joyce in Ritratto dell’artista da giovane, in cui il narratore non è un’entità separata dal testo. Anzi, la sua caratteristia è adattarsi in maniera camaleontica all’età e allo stato d’animo del suo protagonista. Si comincia con un linguaggio infantile, per poi attraversare lo stile ribelle dell’adolescenza e altrettanti modus narrandi secondo le varie fasi di sviluppo. Proprio per questo vi è una coincidenza tra la coscienza del narratore e quella di Stephen Dedalus, tanto che Cohn parla di «contagio psichico» fra le due.
Se tale contagio è mitigato in autori quali Jane Austen, George Eliot e il già citato Thomas Mant, l’ambiguità tipica della psiconarrazione tra la sovrapposizione e la distanza tra narratore e personaggio si realizza pienamente in Un amore di Swann, l’unica parte della Recherche in cui Proust utilizza la narrazione in terza persona. Lo stesso Proust parlerà di «discorso interiore obliquo» riferendosi al vuoto che si crea, in modo alterno, fra l’autocoscienza del personaggio e la coscienza autoriale. Un blackout che Proust cerca di colmare attraverso le analogie e la distanza temporale tra la voce dell’autore il fatto narrato. n
Dopo altri illuminanti esempi e tenendo sempre il timone dell’analisi, condotta con lucidità e passione, Menti trasparenti, nel secondo capitolo si occupa del monologo citato.
La tecnica del monologo interiore citato si consolida nella metà del XIX secolo: Stendhal, Hugo, Dostoevskij, ma raggiunge l’acme nel Novecento, nella narrazione di «una mente ordinaria in un giorno ordinario», ossia nell’Ulisse di James Joyce. Nel romanzo joyciano «il discorso interiore non è più separato dal contesto in terza persona, né da espressioni introduttive, né da qualsiasi tipo di segno grafico» (p. 74). La fusione tra il punto di vista autoriale e quello del personaggio avviene nell’idioma.
Sempre l’analisi di alcune opere di Joyce, insieme a quelle di Kafka occupano il capitolo dedicato al monologo narrato, nel quale il linguaggio figurale del pensiero viene trasformato nel linguaggio narrativo.
La seconda parte del saggio di Dorrit Cohn affronta il problema della coscienza nei testi in prima persona. In questi al contrario di quanto ci si potrebbe aspettare, il narratore «ha un accesso più limitato alla propria psiche passata rispetto a quello che ha il narratore onnisciente» (p. 144). Qui il rapporto, infatti, è essenzialmente tra il presente dell’io narrante e il passato dell’io narrato. L’analisi di Cohn non può che partire da Marcel Proust, che ha presentato se stesso come un crittografo che decifra geroglifici.
Anche qui Dorrit Cohn mostra la propria originalità ed autorevolezza nell’affrontare i classici, nell’illuminarli con maestria, attraverso la lente di ingrandimento da lei scelta per presentarli al lettore.
Con un’imponente apparato di note e le già menzionate citazioni da brani classici che impreziosiscono la lettura, oltre che renderla più fruibile per scopi didattici, Menti trasparenti è un saggio imperdibile per chi ama entrare dentro i meccanismi dei testi, e diventare un lettore più consapevole.
Titolo: Menti trasparenti
Autore: Dorrit Cohn
Editore: Carocci
Genere: saggio narratologia
Traduttore: Gloria Scarfone
AUTRICE
DORRIT COHN È stata una delle figure di punta della narratologia del Novecento. Nata a Vienna nel 1924 e morta a Durham (NC) nel 2012, ha pubblicato, oltre a Menti trasparenti, la cui prima edizione è del 1978, anche The Sleepwalkers: Elucidations of Hermann Broch’s Trilogy (Mouton & Co., 1966) e The Distinction of Fiction (Johns Hopkins University Press, 1999).


