Effetto Proust
Il tè delle cinque con Marcel

C’è un momento, quasi invisibile, in cui un profumo, un sapore o una parola ci riportano a un altrove che credevamo perduto. È l’“effetto Proust”: quella magia che intreccia memoria e sensazione, e che, come un eco lontano, risveglia mondi dimenticati.
Da questa suggestione nasce “Effetto Proust”, la nuova rubrica settimanale curata da Deborah Donato per la rivista letteraria ilRecensore.it.
Un invito a entrare, con leggerezza, sapienza e un pizzico d’ironia, nell’universo narrativo di Marcel Proust — tra le pieghe del tempo, le sfumature della memoria, e le meraviglie infinite della Recherche du temps perdu.
Ogni settimana, i lettori saranno accompagnati in un percorso fatto di curiosità, approfondimenti e piccoli segreti che sveleranno la bellezza nascosta di quest’opera monumentale. Sarà un viaggio dolce e raffinato, tra tazze di tè e madeleine, dove la letteratura incontra la vita e la trasforma in ricordo.
Come nei feuilleton ottocenteschi — quando le storie tornavano puntuali, attese come un appuntamento con l’anima — Effetto Proust si propone di far rivivere, settimana dopo settimana, la magia di un tempo ritrovato.
Benvenuti nel regno della memoria. Qui, ogni parola ha il profumo dell’eternità.
La Recerche è un palazzo di Atlante. Una volta entrati, è per alcuni impossibile uscire. Il romanzo-mondo di Marcel Proust è un luogo in cui prende forma un caleidoscopio di immagini vivide o sfuggenti, reali ed oniriche, tutte ugualmenti seducenti.
Il lettore, penetrato nelle stanze di Combrai o di Balbec, nella camera da letto del piccolo Marcel in attesa del bacio della mamma, o nella sala del palazzo Guermantes, continua a girare di stanza in stanza, a sentire il profumo dei biancospini e il gusto della madeleine, a osservare rapiti il muro giallo di Vermeer.

Sentire, gustare, ascoltare, vedere, odorare.
L’effetto Proust è innanzitutto potenziamento delle nostre capacità percettive. Del resto, a mia memoria non c’è nessun autore che abbia descritto degli asparagi con tanta devota solerzia: «intinti nel rosa e nell’oltremare e la cui punta, finemente spruzzata di malva e d’azzurro, sfuma insensibilmente fino al gambo – pur segnato, ancora, dal terriccio della pianticella – con iridescenze che non appartengono alla terra».
La tanto temuta lunghezza dell’opera fa sì che noi intratteniamo con i suoi personaggi (sono più di 2500!) un rapporto che si avvicina molto a quello che abbiamo con le persone (amici, familiari, conoscenti, semplice comparse) della nostra vita.
Li conosciamo, li perdiamo di vista, li ricordiamo, li studiamo, vogliamo sapere tutto di loro, poi li rivediamo ancora e ci sorpendiamo di come il tempo li abbia fatto mutare. La lunghezza della Recerche (3663 pagine) crea una malìa perché la sua lettura può richiedere mesi o addirittura anni e quindi il lettore non “legge” solamente ma “abita” nel mondo proustiano. Forse, a momenti, diventa Proust perché l’ininterrotta voce narrativa ci fa pensare e sentire i suoi pensieri come fossero i nostri.
«Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L’opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso».
Lo scrittore è, come suggerisce Proust, come un ottico che ci fa provare alcune lenti per gli occhiali, domandandoci se con esse vediamo meglio. Proust, decisamente, ci fa vedere più chiaro.


